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Matteo Nativo: in scena il suo primo disco di inediti

Dall’America alla nostra tradizione folk. Dentro “Orione” anche due omaggi a Tom Waits

Devo dire che il primo impatto è quello di un viaggio lungo a favore di tramonto, verso luoghi che sanno di casa e che conservano forte la sensazione di riparto, di conforto… di segretezza alle volte. Matteo Nativo che per alcuni tratti della sua ultima parte di vita ha lasciato che l’America segnasse molto della sua esperienza musicale ma sopratutto della sua formazione, approda ad un disco di inediti dentro cui rovescia vita personale, drammi e separazioni, rinascite e qualche buon filo di speranza. Si intitola “Orione” e da oggi lo troviamo dentro gli streaming service e in formato CD per la RadiciMusic Records.

Il fingerpicking è il vero protagonista di un suono pulito che rimanda anche a trame d’autore che molti di noi ricorderanno proprie di Goran Kuzminac e si basti ascoltare proprio l’ingresso nell’ascolto con le primissime battute di “Che ora è”. E poi la trama melodica dolce dentro vedute in maggiore che richiamano anche le belle sensazioni di Ugo Mazzei in un disco alto come “Adieu Shangri-La”. E quelle tinte scure di voce che personalmente mi fanno ripensare alle scure visioni blues / folk di Massimiliano Larocca prima che decidesse di dedicarsi a ricerche dal forte impatto francese. Bellissimi i ricami di “Ovunque sarai”, l’armonica a bocca che fa il suo dovere e che forse avrei voluto più precisa, più pulita e meno didattica nei suoi accordi. Come forse avrei voluto meno didattiche le rime alla ricerca di rime baciate o di forme un poco forzate nel restare comode dentro le metriche. Il ferro alla Springsteen non si fa attendere quando un brano come “Oradur” quasi fa il verso a quella “The Ghost of Tom Joad”. L’America dicevamo: l’hammond che fa gli onori di casa dentro “Un’altra come te” non penso proprio si debba commentare in altro modo. Bene i cori che regalano quel sapore gospel che non deve mancare, bene gli stacchi, bene i suoni metallici e di terra che sento a colorare i colpi di cassa e rullante. Forse perde un poco di appeal quando cerca la melodia e la riuscita “pop” in un brano come “Fantasma”, momento un poco ostico del disco a cui devo dedicare forse un ascolto maggiore. È ben diversa la storia quando Nativo cerca altro, cerca il sapore roots, o quando si avventura in un fuori pista decisamente emozionante ed emotivo come la title track che chiude – qualche rimando a scritture di dalliana memoria…

E senza spoilerare troppo, capitolo a parte sono i due omaggi a Tom Waits che troviamo nel disco: da una parte la sua traduzione di “Clap Hands” e dall’altra quella tradotta dall’amica e collega in arte Silvia Conti – fiorentina anche lei – della spettacolare “Jockey Full Of Bourbon”. In entrambi i casi c’è poco da dire: il mondo di Nativo è questo e si sente in pieno come sa restituire al suono e agli arrangiamenti un equilibrio davvero mai raggiunto altrove nel disco. Buona vita al sounther rock, al folk e al blues. Buona vita all’urgenza di essere veri.

Written by Redazione Bravo!

Bravonline nasce tra il 2003 e il 2004 frutto della collaborazione tra vari appassionati ed esperti di musica che hanno investito la loro conoscenza e il loro prezioso tempo al fine di far crescere questo magazine dedicato in particolar modo alla Canzone d’Autore italiana e alla buona musica in generale.

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