Ritroviamo Luca Maciacchini e lo facciamo proprio in occasione della pubblicazione del suo nuovo video ufficiale a corredo del monologo che chiude questo suo nuovo disco di inediti, “La farmacia potrebbe anche non esserci”, uscito per la RadiciMusic lo scorso mese di Maggio.
Artista poliedrico e protagonista contemporaneo del teatro canzone, personalità dalla biografia corposa che non ha certo bisogno di presentazioni, torna con un album che si muove agilmente tra ironia tagliente e riflessioni profonde, bilanciandosi tra il cantautorato classico (anche macchiato di digressioni “indie” alle volte) e l’espressività teatrale. Il disco, concepito nel contesto tumultuoso della pandemia, si presenta come una fotografia vivace e sarcastica del nostro tempo, capace di mettere a nudo con leggerezza le ipocrisie e i paradossi della società contemporanea.
È la farmacia il luogo cardine del suo simbolismo, luogo dentro cui la società malata dovrebbe trovare riparo, quantomeno dovrebbe cercare una cura. Ed il male di questo tempo nuovo, l’ego, porta con se frutti e conseguenze su cui diviene facile edificare sane ironie. Si colloca, dicevo, al crocevia tra teatro e canzone d’autore, un genere che Maciacchini padroneggia con maestria vista la sua lunga militanza nel genere. Colore di sapori non troppo popolareschi e di giullari, quanto invece canzoni vere e proprie scritture dedite ad un linguaggio che alterna sarcasmo, cinismo e introspezione, senza mai perdere di vista la componente ludica e la musicalità che sembra spesso frutto del gioco come nel primo singolo “Carta Cambia”.
Di scena uno dei paradossi del nostro ego, il tema della mutevolezza delle leggi e delle regole, soprattutto nel periodo della pandemia. La “carta” diventa metafora del cambiamento incessante e, talvolta, incoerente delle norme, ma anche di un’umanità che fatica a trovare punti di riferimento. Maciacchini racconta la confusione di un periodo in cui tutto sembra modificarsi tranne la capacità critica di chi osserva. Bella la danza del suono, il suono che gioca, la ragione della vita normale che con normalità gioca. Anche qui un video a cura di Luca Maffei e Federico Motta, aggiunge un ulteriore livello di significato: quattro personaggi emblematici (il politico, il pigro casalingo, il clochard e il cantastorie) incarnano diversi atteggiamenti verso il cambiamento, offrendo uno spaccato teatrale e visivamente coinvolgente.
Siamo nelle osterie della darsena con “Derva!”, o nell’attico far west con “Il titolista”, primi momenti gaberiani del lavoro, figura che, almeno vocalmente, viene richiamata spesso. E la favola folk di Faber si rievoca dentro “A ognuno… la sua famiglia” ed è puntuale il veleno tra le liriche di “Commentate!”, uno dei momenti decisamente teatranti (nell’inciso soprattutto), un invettiva alla modernità dei social e di come siamo ridotti nel mutuo rapportarsi. Belle le tonalità rockabbilly di “Tasche Rare”, bello il suono bue di armonica, e mi preme sottolineare come la voce di Maciacchini, in una dimensione più aderente alla canzone tout court, sembra trovare un equilibrio maggiore. Chiude con il monologo (questo si, decisamente gaberiano) che, come dicevamo all’inizio, è da poco uscito con il video ufficiale che mettiamo a seguire: “…Ma la farmacia c’è”.
Un disco di critica che chiude il suo percorso con una provocazione. Se volete, possiamo salvarci. Basta volerlo. E non è poco direi… di certo, qui forse la lirica non è forte come quella di Gaber, Maciacchini non sfoggia chissà quale uso della parola e probabilmente, in una composizione di sola parola, forse avremmo preferito un’attenzione maggiore. Ma il messaggio arriva netto e chiaro e, probabilmente, tanto basta nei suoi intenti. È un disco politico, in senso alto, come dice tanta critica che lo ha accolto. Che se si ride comunque non si deve dimenticare che in fondo, farmacia chiuso o aperta che sia, la responsabilità di tutto questo circo assurdo, è soltanto nostra.



