La giovane violoncellista e cantautrice pavese Diletta Fosso torna con un nuovo singolo dall’atmosfera luminosa e sognante: “Il vento sale”, uscito per Matilde Dischi. Come dice la didascalia, un inno alla libertà e alla leggerezza dei giorni che (forse perduti alla memoria diremmo noi altri) sono quelli ci fanno sognare… densa di aria e dinemiche anche accattivanti, una celebrazione del viaggio come metafora della vita e, sicuramente del cambiamento. Con immagini evocative che attraversano Parigi – tra la Torre Eiffel, Rue de Rivoli e i Giardini delle Tuileries – la giovanissima musicista pavese ci vuole invitare a vivere il presente e non i ricami mentali del passato o del futuro. Un innesto di soluzioni main stream digitali dentro un approccio ancora capace di godersi a pieno l’ingenuità che porta sulle spalle. L’avevamo conosciuta per il singolo “Oltre il rumore”, traccia che ha dato il titolo ad una compilation di artisti che hanno dedicato la loro penna al dramma della guerra. Eccola su SPOTIFY.
Quanto ci piace parlare di vita come fosse un viaggio… per te interiore? O anche estetico, di forme esterne a quello che senti…?
Per me il viaggio è prima di tutto interiore: è quel vento che ti spinge a scegliere, a crescere, a cambiare direzione quando serve. Amo raccontarlo giocando con le immagini, con le scenografie e i piccoli dettagli che acquisiscono un significato. Nei miei brani realtà e immaginazione sono insieme, il mondo fuori accende quello dentro e viceversa.
In questo nuovo singolo c’è una Parigi che quasi posso vedere da qui: quanto contano i luoghi reali nella tua scrittura e quanto invece sono pura suggestione poetica?
I luoghi reali contano tantissimo: i luoghi di Pavia, la mia città, sono le mie radici; Parigi, invece, è un simbolo di libertà, un “rendez-vous” con le possibilità. Alla fine viaggiare con la mente ti permette di attraversare le strade della tua vita ma anche quelle immaginarie, è sempre un fatto di possibili sguardi sul mondo. Quando dico Rue de Rivoli o i Giardini delle Tuileries parlo di posti… ma soprattutto di stati d’animo.
In passato con “Oltre il rumore” hai raccontato il dramma della guerra, ora invece canti la leggerezza: cosa ti spinge a oscillare tra temi così diversi, ma ugualmente intensi?
La vita è fatta di peso e leggerezza, e io voglio raccontarli entrambi senza filtri. “Oltre il rumore” nasce dal bisogno di dare voce al dolore e cercare un varco di pace; “Il vento sale” e “Nuvole” ricordano che abbiamo diritto anche alla gioia, al coraggio, al respiro. Alterno perché siamo così: piangiamo e balliamo, nello stesso giorno. La musica per me è un megafono gentile che prova a cambiare le cose senza dimenticare di abbracciarle.
Il violoncello, gli studi classici, il pop d’autore… una mistura quasi folle, affascinante… e tu dove ti poni? Stai ancora mescolando le carte per capire quale strada ti appartiene?
Sì, sto mescolando le carte e non voglio smettere. Vengo dalla classica e il violoncello è la mia voce più profonda, ma nel pop trovo il linguaggio per parlare a tutti. Può essere Bach al mattino e un suono distorto la sera, se serve. Mi piace questo incrocio dove tecnica e istinto si incontrano.
E di questo suono che ti porti dietro? Quanto deve al futuro che è il tuo tempo… quanto ai consigli di una produzione che guarda al mercato… quanto la voglia di rompere le tue abitudini classiche?
Il mio suono guarda avanti ma resta fedele a chi sono: pochi filtri, tanta sincerità, il violoncello che respira con me. Lavoro con una produzione che mi spinge a essere chiara nel messaggio e libera nelle scelte: il mercato lo ascolto, ma non detta i trend di quello che scrivo. Mi piace rompere le abitudini quando serve, anche sporcando il cello o giocando con nuove tecnologie. La regola è che se mi emoziona ed è autentico, allora va bene.



