A Chiara Giorgi, amica e professionista della comunicazione discografica che mi ha fatto conoscere sempre grande musica. E questo primo/nuovo disco di Luca Romagnoli è solo l’ultimo di una lunghissima serie.
Ci sono dischi che mi inchiodano alla sedia in un vomitare di impressioni. Devo farlo. E lo devo alla mia memoria soprattutto, che lei non conosce tempo e non sa aggrapparsi ai cornicioni. Lascia il tempo che trova… e di tempo ne trova tanto. Ed è così, amica Chiara, che mi siedo e scrivo di getto senza filtri e senza sosta, che chissà poi la forma finale quanto sarà grezza e quanto invece patinata. Di certo sarà espressione umana, poco incline alle mode o al cliché del mestiere. DFunque mettiti comoda. Punto e a capo.
In Abruzzo siamo tanti ma sempre così pochi che alla fine ci conosciamo tutti. Con Luca Romagnoli si fa presto a condividere palchi e bevute o anche a misurarci nel tempo che ci regala cambiamenti e trasformazioni. E lui di trasformazioni ne ha attraversate… e questo suo primo lavoro di inediti personali mi ha consegnato emozioni talmente “definitive” che non so come ringraziarlo. E mi inchiodano alla sedia, tutte, praticamente tutte le canzoni di questa miseria che va in scena, umana e personale, non sua (come canta quanto canta in prima persona), ma mia quando le ascolto e non posso che ascoltarle in prima persona. Sono io a perdere, io a piangere, sono io che ho ancora una madre a cui raccontare del mio vomito e delle mie lacrime, sono io che guardo con rassegnato rancore il pattume che ormai sa come pronunciare “BI EMME VÚ”. Ed io non sono migliore di voi altri: in corsa perenne per “Fatturare”, che amore mio non ho tempo, che vita mia non ho tempo, che tempo mio non ho vita da raccontarti domani. Non diventerò mai padre…
Luca Romagnoli poi ha fatto qualcosa che i nuovi “maestri” del main stream liquidi non sono capaci di fare, ancorati come sono al cliché e a mode sempre più automatizzate: ha portato in scena un linguaggio moderno perché non è un boomer tantomeno un nostalgico. Ma a queste parole liquide, facili mai figlie di scorciatoie digitali, ha restituito il potentissimo dono della sintesi che, per mia personale attitudine e gusto, trovo che qui abbia un significato molto adeso a quello di “manifesto generazionale”. Io le vedo le canzoni di questo disco, io le posso toccare con mano, smuovo pensieri ed emozioni assieme a loro… e accade tutto come una slavina sin dal primo ascolto perché io questo nuovo disco di Luca Romagnoli l’ho sentito subito mio… e le cose mie ormai le conosco a memoria. La sintesi dicevamo: prendete un brano come “Fatturare” che sotto la buccia sfoggia echi lontani di quella “Nuntereggae più” di Gaetano, pensate ai tempi moderni che giustifichiamo sempre e comunque in nome del progresso, e quindi ditemi se non è un manifesto sociale e generazionale di una potenza disarmante e definitiva. Buon ascolto…
E poi ancora, ha preso queste liriche e le ha sapute ficcare dentro, attorno, a fianco ad una produzione di suoni (a firma di Fabrizio Cesare) dentro cui trovo vivo quel significato di personalità che non ha bisogno di dimostrare alcun tipo di originalità. Non so come spiegare… niente di nuovo in questo disco ma tutto mai sentito prima.

“La Miseria” è forse uno degli ascolti più importanti che mi arriva a fine 2024, in questo tempo sempre nuovo, dove a stento riconosco ancora la mia morale e i miei principi, dove tutto “deve” mescolarsi con tutto cambiando forma e significato all’occorrenza, almeno dicono. Sono dentro una miseria instillata in questo povero tempo nostro (cit.), spacciata doverosamente come nuova normalità, giustificata a suon di modernità. Siamo persi, ci stiamo perdendo, molti di noi hanno già perso… e ci vuole la maturità artistica e umana di Luca Romagnoli per capire che si può anche perdere. Il prossimo obiettivo, amico mio, è farci pace e riderci un poco su. Che questo disco è bello, si ma da morire…
Paolo Tocco


