Like a bird on the wire
Like a drunk in a midnight choir
I have tried in my way to be free
«Come un uccello sul filo, come un ubriaco in un coro di mezzanotte, ho cercato a modo mio di essere libero». Tra le righe dei versi di Bird On The Wire, che troviamo nell’album Songs From a room del 1969, riscopriamo l’essenza umana e artistica di Leonard Cohen, tra i più grandi cantautori degli ultimi 50 anni, morto cinque anni fa, il 7 novembre del 2016. Ineguagliabile cantore dell’amore romantico e malinconico, Leonard Cohen, con grande modestia si descriveva come un “poeta minore”, ma è incontestabile che alcune sue canzoni rientrino di diritto tra le migliori poesie del Novecento.
Cantautore, scrittore e poeta
Oltre a Bob Dylan, se ci fosse un altro artista che avrebbe davvero meritato il Nobel per la Letteratura, quello sarebbe proprio Leonard Cohen, cantautore, scrittore e poeta cupo e romantico, che ci ha lasciato nel 2016, dopo averci regalato (in maniera molto simile a quel che fece David Bowie con il suo “Lazarus”) il suo testamento artistico You want it darker, un titolo quasi profetico sulla sua imminente morte.
Cohen nasce il 21 settembre 1934 a Montreal e già da ragazzino impara a suonare la chitarra. Comincia a leggere Federico Garcia Lorca che lo avvicina molto presto alla poesia. Nel 1960 dopo aver finito l’università a McGill, Cohen acquista, con un lascito del padre (morto quando lui aveva solo nove anni) una casa non lontano dalla costa del Peloponneso, a Hydra, un isola greca che fra gli anni ’50 e gli anni ’60, diventa quasi una comune, un rifugio di artisti, raccogliendo una comunità bohémienne di scrittori, pittori, musicisti tutti uniti da uno spirito libertario. In quel periodo, Cohen, appena ventiseienne, scrive le sua prime raccolte di poesie; Let us compare mythologies, The Spice Box of Earth, Flowers for Hitler (1964) e i romanzi The Favourite Game(1963) e Beautiful Losers (1966).
l’isola di Hydra, Suzanne e le altre
Tra innumerevoli difficoltà e non riuscendo a “garantirsi una vita decente, forse neanche indecente”, Cohen nel 1967 è costretto a reinventarsi come pop star, quando esce il suo primo disco “Songs of Leonard Cohen”. “La sua immagine ascetica era in totale controtendenza con gli eccessi dionisiaci associati con il rock and roll“, come scrisse il New York Times, che cita anche la definizione che successivamente gli fu affibbiata di “maestro della disperazione erotica“. Songs of Leonard Cohen vendette a sorpresa oltre 100.000 copie, il suo miglior risultato commerciale fino al 1988. La critica grida al miracolo, e gli assegna l’etichetta dell’antagonista canadese di Bob Dylan, con il quale condivideva la stessa scrittura raffinata e una misoginia neanche troppo velata.

Cohen traspone i suoi versi e la sua inquietudine su accordi minori, con una produzione scarna che costringeva gli ascoltatori a concentrarsi sulle parole delle canzoni e sulla sua interpretazione più che sulla musica. Indimenticabili le sue interpretazioni di Suzanne, hit di Judy Collins pubblicata nel 1966, intrisa di simboli religiosi e di pathos, e So long, Marianne, ballata fatta di struggimento e solitudine, che racconta la fine della storia con la sua musa norvegese, Marianne Ihlen, conosciuta sull’isola greca di Hydra. Per una singolare coincidenza del destino, il cantautore ebbe due figli da un’altra Suzanne, che nulla c’entra con la Suzanne Verdal a cui è ispirata la canzone.
Ancora più cupo e intimista dell’album di debutto, Songs from a room non riuscì a replicare il successo commerciale di Songs of Leonard Cohen, anche se era un album musicalmente più fluido ed emblematico della sua poetica.
Dieci canzoni in cui appaiono centrali i rapporti interpersonali, ad eccezione di The partisan, un brano politicamente schierato contro la Seconda guerra mondiale, che smonta il rapporto tra patriota e nazione. The butcher è invece un brano sul rapporto tra padre e figlio, mentre in Seems so long ago, Nancy, il cantautore gioca con il tema della promiscuità, un topos dei suoi primi album che comincia a costruire il mito della misantropia dell’artista. Indimenticabile anche Bird on the wire, anch’essa scritta durante la permanenza a Hydra. L’ispirazione venne dall’osservazione di alcuni uccellini che stazionavano sui cavi del telefono recentemente installati sull’isola. A tal proposito Cohen racconta: «Inizio sempre i miei concerti con questa canzone. É stata cominciata in Grecia e terminata in un motel a Hollywood nel 1969 così come tante altre cose. Alcuni versi sono stati cambiati in Oregon. In qualche modo sembra che io non riesca mai a renderla perfetta».
Songs of Love and Hate
Songs of love and hate del 1971 è con certezza una delle opere più intense del cantautore, disco spiccatamente pop-folk, in cui il confine tra amore e odio non è mai stato così sottile. L’amore è qui un vero e proprio campo di battaglia, che non fa prigionieri, tanto da chiamare la sua band di supporto The Army. Emblematico, in questo senso, il capolavoro struggente Famous blue raincoat, (e hai regalato alla mia donna un pezzo della tua vita, e quando è tornata non era la moglie di nessuno) ovvero una lettera risentita all’amico fedifrago che gli ha soffiato la fidanzata. Negli anni successivi, il cantautore ha messo in dubbio che il brano fosse autobiografico. Assolutamente da citare, poi, la struggente Avalanche, in cui la chitarra acustica si amalgama alla perfezione con gli archi in crescendo, un brano di cui Nick Cave incise ben due cover, una nel 1984 e una nel 2015.
Il Chelsea Hotel e Janis Joplin
In New Skin for the Old Ceremony del 1974, spicca Chelsea Hotel #2, che racconta il leggendario incontro ravvicinato del cantautore con la mitica Janis Joplin nel leggendario hotel dove gli artisti vivevano per lunghi periodi e dove tutto poteva accadere. In una notte nella primavera del 1968, Cohen, immalinconito da una carriera che non aveva ancora spiccato il volo, si ritrova a passeggiare per le strade di Manhattan.
Dopo aver varcato la porta dell’hotel, il cantautore canadese incontra in ascensore una ragazza affascinante e dal look bizzarro: era Janis Joplin. «Ero un esperto pilota dei pulsanti di quell’ascensore, una delle poche tecnologie che abbia mai veramente padroneggiato», ha successivamente raccontato il cantautore. «La porta si aprì. Sono entrato. Metto il dito sul bottone, senza esitazione: avevo un grande senso di maestria in quei giorni. La mattina presto noto una giovane donna in quell’ascensore. Ho preso coraggio e le ho detto “Stai cercando qualcuno?“. Lei ha detto “Sì, sto cercando Kris Kristofferson“. Ho detto “Little Lady, sei fortunata, io sono Kris Kristofferson“.