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Robbè: sono chiacchiere la vita…

Eccolo “Chiacchiere da bar”, un disco acqua e sapone che tanta parte della critica sta osservando da vicino come un gesto di resistenza o, forse con maggiore atto di spirituale romanticismo, diremmo resilienza culturale. Perché Robbè torna con un disco che sa di suono analogico, acustico, popolare, sporco di terra e di tradizioni. Senza cercare nei ricami quel senso world e “popolaresco”, citando percorsi di vero folk… ma restando ancorati dentro un pop d’autore che non si piega agli automatismi del futuro.

La parola è tutto per questo disco, per te… eppure non è una parola sofisticata. Anzi la trovo molto quotidiana il che è una forza aggiuntiva. Oggi le parole sono sintetiche, sostanzialmente delle
fotografie il più veloci possibili. Un cantautore come dialoga con un’abitudine così superficiale che abbiamo oggi?
Personalmente, con difficoltà. Instagram e TikTok ci hanno abituati a contenuti mordi e fuggi, brevissimi, che devono attirare l’attenzione dai primissimi secondi. Sembra non ci sia più spazio per soffermarsi, per riflettere (nonostante siano gli anni dell’ “over-thinking”), deve essere tutto rapido, veloce ed il più possibile sintetico. Credo sia un problema legato alla parola in generale, nella musica così come nella scrittura, troppa gente si spaventa davanti ad un testo di qualche riga, ad una poesia di tre strofe, anche solo a delle semplici indicazioni troppo lunghe.

E qui chiamo in causa la title track: facciamo tutti “Chiacchiere da bar”. Il problema è che su questo ormai fondiamo il vero “sapere” che costruisce il quotidiano. Non trovi? Come se ne esce?
Se ne esce leggendo, informandosi, riappropriandoci di quella cultura che sembra diventata appannaggio dei divulgatori da social. Le chiacchiere da bar fanno bene, ma non possono essere la nostra fonte di conoscenza. A me piaceva proprio dare questo senso di contrazione tra il titolo dell’album e i temi trattati, le chiacchiere da bar sono, nell’accezione comune, un qualcosa di leggero e senza troppo peso, a differenza di quello di cui parlo nelle canzoni.

Sono passati 5 anni prima di un nuovo disco. Prima di un secondo dico, che sempre dicono essere il disco della conferma… o dell’evoluzione…cos’è davvero cambiato in questo tempo per te, per la tua parola, per il
tuo suono?
Sono cambiate tante cose, com’è anche giusto che sia in cinque anni. Cinque anni poi mi suona strano, considerando che è qualcuno di questi anni l’abbiamo perso a causa della pandemia. Sicuramente sono più maturo e consapevole nella scrittura, ho avuto la possibilità di confrontarmi con tanti artisti e soprattutto di conoscere tanto persone, tante culture, che mi hanno aperto nuovi orizzonti e dato nuove consapevolezze. Anche dal punto di vista strettamente musicale, oggi sono molto più “pacato” rispetto al vecchio lavoro, da una parte per l’esigenza di mettere in risalto i testi, dall’altra perché volevo delle canzoni da “chitarra e voce”, che rendessero bene anche senza una band alle spalle sul palco, in contesti più intimi e pronti all’ascolto.

L’Irlanda non smette di esserci… che legame hai con questa terra e con il suo Folk? Anche se in questo disco, dimmi se sbaglio, il folk irlandese lascia più ampio campo d’espressione al cantautorato tout court…
Direi che hai perfettamente ragione, anzi forse c’è poca Irlanda in questo disco, se non per qualche sonorità del violino. Sono sempre legato a quella terra, ci ho vissuto e ci sono ritornato, la loro cultura musicale è pazzesca e l’importante che ha la musica nella vita quotidiana di tutti è un qualcosa di indescrivibile. Non mi sembrava più il caso di seguire quella linea di folk-rock, non perché non mi piaccia ma perché, come ho detto prima, volevo confezionare un vestito più “sobrio” per le mie canzoni, senza troppe sovrestrutture.

E qui chiamo in causa Cisco… uno fra tanti… hai mai pensato di collaborare con lui?
Cisco per me non è assolutamente uno fra tanti. È un grande artista e lo stimo molto. Quando è uscito “Vecchie cicatrici” ho avuto modo di farglielo ascoltare e devo dire che lui ha apprezzato, soprattutto la mia scrittura. Avevamo anche parlato di una possibile collaborazione, purtroppo il periodo era quello che era e sembrava che la musica fosse la principale causa di diffusione del covid, quindi alla fine la cosa è rimasta un po’ in sospeso e non se n’è fatto più niente. Una collaborazione con lui mi farebbe tantissimo piacere, sarebbe quasi un sogno: chissà, magari un giorno potremmo farcela!

Il mio manifesto è “Liberami”. Quante catene oggi ci sono, abbiamo, ma addirittura vogliamo? Le allegorie portano questo brano (e un po’ tutto il disco) ad avere mille piani di lettura diversi..
Sono le catene di un sistema che ci fa credere di essere liberi. Liberi di essere diversi, di essere speciali, di non essere come tutti gli altri. Catene e confini che danno la libertà assoluta di muoversi in uno spazio prestabilito, sicuro, senza la possibilità di rompere gli schemi, se non per rientrare in uno schema più grande, anch’esso sottoposto alle stesse logiche di produci-consuma-crepa.
Sicuramente “Liberami” è il brano più allegorico del disco, quello che si presta meglio a diverse interpretazioni e devo dire che è una cosa che non mi dispiace: mi stupisco sempre nel sentire le diverse percezioni che ha la gente riguardo ai significati delle cose che scrivo e trovo sia una cosa stimolante, che dia in un certo senso ancora più bellezza a tutto ciò.

Written by Paolo Tocco

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