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Beta Libre: un concetto cantautorale di “cyberpunk”

Benedetta Gaggioli fa il suo esordio con “Winter Circle”

Sarebbe corretto definirlo “cyberpunk” anche se onestamente sono molteplici le derive. Ma etichette a parte, debiti di stili non ultimo il più citato “Frozen” di Madonna (a bandiera di uno stile nel suo lato più estetico), quello di Benedetta Gaggioli è un viaggio introspettivo oltre e dentro le maschere, in un continuo equiilibrio e lotta nella verità di ognuno. Circolarità è una parola chiave, intesa come (a mia lettura) confort zone dentro cui salvarsi. Beta Libre, questo il suo moniker, fa del suono e soprattutto della voce, un vero centro nevralgico per la sua forma narrativa. “Winter Circle” è un esordio interessante, poco italiano, di un cantautorato che comunque dal nostro sacco vien fuori. E noi ci siamo puntuali…

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Qui parliamo di canzone d’autore italiana… in senso non propriamente tout court… andiamo anche a latere. Eppure sempre di cantautorato si parla, in merito al tuo disco. Ti senti una cantautrice?
Sicuramente sono una cantante e un’autrice di testi e musica, ma non mi sento pienamente una cantautrice… Forse sento più vicino a me il termine “compositrice”: sono il mondo sonoro e l’atmosfera musicale che occupano più tempo ed energie nel mio processo creativo, infatti mi piace prendermi cura dell’arrangiamento dei miei brani in ogni dettaglio. I miei testi spesso sono brevi e densi di significato, di solito non racconto storie ma esprimo sentimenti, condivido sfumature emotive attraverso la musica che incornicia le parole e le rende vivide e animate.

E quindi, come amo spesso chiedere a tanti: che rapporto hai con la parola?
Per me la parola è suono e significato. È qualcosa di estremamente intimo e profondo che mi permette di usare i colori della mia voce. Mi piacciono i testi brevi, essenziali, con parole o frasi che si ripetono e diventano mantra. Fin da piccola ho sempre scritto diari e racconti (ne ho un baule pieno che custodisco con cura), sono un’appassionata lettrice e qualche anno prima di iniziare questo percorso ho iniziato a condividere i miei scritti in un blog tuttora attivo, quindi sono profondamente dipendente dalle parole, dal nutrimento che mi danno e dalle possibilità espressive che mi concedono.

Perché l’inglese? Hai pensato a tradurre tutto questo in italiano anche?
L’inglese mi viene naturale nel genere che sto facendo, non è una scelta ponderata, ma un’inclinazione spontanea. In passato ho scritto molti brani in italiano ma, per qualche motivo che non ho ancora compreso, non sono mai riuscita a finire gli arrangiamenti e ad essere soddisfatta del risultato… invece con l’inglese tutto il processo diventa più semplice e immediato. Probabilmente mi suona più adatto agli arrangiamenti elettronici del mio album (condizionata dai miei punti di riferimento musicali, ad esempio Bjork e Sevdaliza) e sento la mia musica come qualcosa di europeo, senza chiare radici e non strettamente italiane, a differenza dell’opera e del canto lirico dei quali mi sono occupata per molti anni. Quindi non credo di poter tradurre in italiano questo progetto, ma non lo escludo del tutto… chissà!

E tornando ad un concetto di sintesi: hai mai pensato che questo disco potesse essere anche figlio di una sintesi? Cioè suonato con pochissime cose, acustiche, anche solo un piano…?
Credo che alcuni brani funzionerebbero anche con pochi elementi acustici, infatti a volte ho pensato di scrivere nuovi arrangiamenti della mia musica (ad esempio per pianoforte, violoncello e clarinetto) e ho immaginato suoni molto diversi e connessioni minimali. Potrebbero essere nuovi punti di vista ricchi di interessanti sfumature e potrebbe essere anche un modo per dare più rilievo alla voce e al testo. Allo stesso tempo credo che la mia musica sia il risultato di tante linee che si intrecciano, con un approccio più orchestrale e corale, e credo anche che il suo cuore pulsi grazie ai sintetizzatori e al loro suono viscerale ed elettronico, quindi non so se sarei totalmente soddisfatta di versioni più scarne ed acustiche.

Penso proprio che un disco simile provenga da una metamorfosi interiore, da un’analisi condotta a fondo… non voglio essere indiscreto… ma è così?
Scriverlo e comporlo è stato un percorso profondo, intimo e molto più difficile del previsto. Ho scavato tra le mie insicurezze, esplorato le mie fragilità, raccolto emozioni scomode e dolori penetranti. Ha portato a galla tanti bisogni che non sapevo di avere (ad esempio quello della fantasia e del rimanere bambina come in “Childhood” o di un’evoluzione femminista in “Matriarchy”), mi ha permesso di elaborare esperienze significative (come il lutto in “Lost” e alcune molestie in “Enjoy”), di capire verità fondamentali su di me (come la mia anima vagante e libera in “Decadence” e la mia idea di pace in “Solitude”), di esplorare la mia parte più oscura in “Darkness” e “Turn”, e molto altro… praticamente racchiude gran parte del mio mondo interiore di questi ultimi anni e, attraverso questo lavoro di scavo, comprensione e condivisione, mi ha aiutato tanto ad evolvere, a liberarmi dall’involucro larvale e a sbocciare attraverso la mia creatività. In effetti credo che la parola “metamorfosi” sia proprio adatta!

E questo disco è la luce o il buio di questo viaggio?
È tante sfumature di buio, è pieno di ombre e luoghi oscuri, di lotte interiori, di sofferenza e paura… ma per me è decisamente una luce di speranza, un nuovo inizio, la possibilità di esprimermi liberamente, di creare mondi sonori che mi rappresentano e di dare voce alle mie incessanti avventure interiori.

Written by Redazione Bravo!

Bravonline nasce tra il 2003 e il 2004 frutto della collaborazione tra vari appassionati ed esperti di musica che hanno investito la loro conoscenza e il loro prezioso tempo al fine di far crescere questo magazine dedicato in particolar modo alla Canzone d’Autore italiana e alla buona musica in generale.

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