Marco Boccuto sceglie il suo cognome per firmarsi dentro le strade della musica italiana e fa il suo esordio con questo lavoro uscito per la Volume! dal titolo “Il cielo non cade mai”. Costruisce canzoni che sembrano danzare in bilico tra il peso delle parole e la leggerezza delle soluzioni sonore, tanto affidate a pianoforte e chitarre acustiche ma tanto anche colorate di futuro digitale.
E se “Myazaki” suona di piano e voce e sforna un classico quadro indie pop all’italiana maniera con quelle venature dissonanti nelle melodie vocali che ci richiamano un Tricarico in grande spolvero, allora “Razza di ragazza” rende sfacciata la potenza del bel canto e del bel pop d’autore italiano con le soluzioni classiche, orchestrali ove occorre, di batterie pulite e puntuali, di acustiche dai contorni viscosi.
Le parole di Boccuto sono liriche che non cercano di sfuggire alla complessità del mondo ma, al contrario, la abbracciano con consapevolezza, mostrando la fragilità come un’opportunità per la crescita. E che belle le immagini con cui gioca, disegna personaggi e svicola in descrizioni fatte di figure, di visioni, quasi fanciullesche alle volte. E ci troveremo dentro anche hit da radiofonia anni ’90 alla 883 con un brano come “Come faremo”, oppure tracce di shoegaze pop di ostinati lirici decisamente vincenti con aperture quasi nordiche in “Dimenticati del mondo”, brano che mi porta ad aprire le braccia e sagomare il tramonto che vedo di lontano.
Ritrovo Olden nel sangue di una canzone che ha sangue quasi francese nelle origini quando mi canta “Lo scontro perfetto”, e nella chiusa “Ci penserò due volte” rieccole spuntare dinamiche estese che chiedono alla voce dinamiche importanti e allungate: forse è questa la dimensione canora di Boccuto, quella che più gli restituisce agio ed equilibrio espressivo. E qui ripesco proprio “Cinema a metà”, la prima traccia del disco: il vero manifesto classico/futurista di questo disco.
Boccuto sfoggia una produzione davvero impeccabile ma se posso chiuderla con una nota minore, mi viene da segnalare la mancanza di una scrittura poetica o filosofica di statura pari al suono che ha. Se come ho detto mi suonano belli i giochi allegorici dei testi, sono però pochi i tratti in cui la parola ha retto la sfida di fare poesia cantata. Di certo non si è mai svenduta però, stando dentro percorsi melodici e cantautorali dove vedrei bene artisti come Benvegnù o il già citato Olden, avrei gradito una potenza maggiore nei testi e direi che il prossimo passo di Boccuto sia raffinare proprio la penna, la scelta delle liriche e del suono che hanno. È tutto decisamente molto buono… sarebbe un peccato non raffinare i contorni. Che poi, per un cantautore, sono tutt’altro che contorni.



