Fabrizio De André – La Guerra Di Piero (6/20)
Fabrizio De André è stato mille cose. Tra di esse, è spesso ricordato come il cantore degli ultimi. Ma è stato anche il cantore degli avversari. Dei nostri dissimili, dei nostri opposti.
Non esiste canzone più pacifista de “La guerra di Piero” e non soltanto perché il protagonista si rifiuta di sparare e muore di pace, ma soprattutto per l’inedito punto di vista dell’avversario, dell’assassino, che spara perché “ha paura”. C’è una specie di perdono universale in quel motivare con la paura quello sparo.
L’estro-verso di oggi è di rara bellezza.
“Dovere” in grammatica è un verbo “servile”, cosa che è già tutto un programma e che mi farebbe venire i brividi da sola.
Ma il punto è che i verbi servili si combinano necessariamente con altri verbi, questi ultimi esposti all’infinito, ad esempio “devo fare qualcosa”.
La meraviglia grammaticale e inscindibilmente concettuale dell’estro-verso di oggi sta nell’usare il verbo servile NON combinato all’altro verbo, lasciando mozza la frase, donandole così una potenza infinita.
Perché quale che sia il secondo verbo, è il verbo servile del dovere a generare tristezza. “Chi deve” è già triste, è già costretto, coatto, oppresso in ogni caso. Non serve altro. Non c’è alcun bisogno di specificare il secondo verbo, qui sta la grandezza di questo verso.
In più, noi conosciamo bene quel secondo verbo non esposto, perché ha a che fare con la guerra, in ogni caso. E sulla costrizione di un soldato a fare ciò che non “vuole”, ma “deve”.
Da qui al perdono dell’avversario il passo è breve, perché anche lui “aveva il tuo stesso identico umore”. “Deve” anche lui. Quello sparo non lo vuole. O meglio, lo vuole qualcun altro, lontano dal campo di battaglia, qualcuno che quella battaglia l’ha voluta, ma non i soldati.
“Stesso identico”.
L’umanità è tutta qui.
Questo siamo, stessi identici.
Non sono il colore della pelle, il ceto, la religione, il sesso, la sessualità, la lingua, la provenienza a renderci avversari.
Perché siamo stessi identici.
Ci rende avversari solo quel “ma la divisa di un altro colore”. Solo stoffa, dunque.
Sotto, siamo stessi identici.
Se il mondo riuscisse ad avere il punto di vista dell’avversario così come lo ha avuto De André ne “La guerra di Piero”, esisterebbe solo la pace.
Sono passati 22 anni senza Fabrizio De André.
E noi siamo tristi come chi deve continuare a vivere senza di lui.