Romeo Campagnolo e il polistrumentista Matteo Marenduzzo, i Bob Balera, tornano assieme per un secondo lavoro decisamente riuscito e interessante. Importante nei suoni mille dettagli artigianali che oggi – anche se non più tanto artigianali – hanno però la forza di richiamare un tempo di grandi fasti dove la canzone d’autore incontrava non solo il rock ma anche il funk e linee progressive, morbide e sottili… decise innovazioni nella forma come nelle abitudini (e si pensi a dischi come “Anima Latina” o “Amore e non amore”).
Ecco “Pianeti”, disco di ostinati elettrici e di ritmi industriali dentro un sapore che sa tanto di urbanizzazione violenta, exploit capitalistici dentro cui coltivare allusioni erotiche e romanticismi quasi poetici. Un disco di dieci inediti davvero interessante, nella stesura musicale quanto in quella lirica anche se molti storceranno il naso nella sfacciata direzione battistiana-mogol di tutto il sound, voce compresa… anzi soprattutto in merito alla voce che nella timbrica e in tante chiuse cerca proprio quel mondo allegorico che conosciamo benissimo. E se l’incipit del disco con “Solo tu” davvero non sembra parlare questa lingua e anzi ci porta dentro strade roots americane con dei power chords quasi da crossover, con soluzioni molto urbane e scure in volto quasi a richiamare il più energico dei suoni di Vincenzo Fasano, a seguire “Dimmi che” (secondo singolo estratto) davvero non lascia scampo allo scenario. Persino la linea ritmica cerca esattamente quelle canzoni e qui non so se siamo al limite del “Plagio” (in senso romantico e non critico) o se il campo minato è ancora distante… davvero “Dimmi che” è forse il brano più battistiano che ci possa essere in questo disco, se non fosse per gli ostinati funk di chitarra con cui si entra nell’inciso che si apre troppo in una melodia pop rock poco italiana.
Il disco procede quasi con in quest’unica soluzione, in bilico tra quei precisi fasti e un’America pop rock all’inglese maniera… che poi anche la bellissima “Veronica”, con questi suoni psichedelici di chitarra, cerca il potere visionario dentro il nome di una ragazza forse scomoda all’amore. E ci piace questa sospensione, forse un momento alto nell’immaginario anni ’80 e ’90 dell’ascolto dei Bob Balera. E i cambi di rotta improvvisi non sono da meno: “Perdersi tra gli alberi” che sulle prime continua a cullare una sospensione psichedelica, quasi sfocia nel dark wave dove avremmo visto bene anche un Capovilla in grande forma (se non fosse per i suoni sottili della produzione e gli accordi in maggiore che aprono la vista)… oppure mai ci saremmo attesi i ritmi in levare di “Rimini” che sfoggiano un comparto elettronico degno di un bel revival inglese (e qui i Cure non avrebbero sfigurato come citazione)… oppure il cambio di scenario tra strofa e inciso che troviamo dentro “Ogni Domenica” sembra rompere le aspettative.
E devo dire che tutte le volte che il disco si aggira su piani alti ogni volta che cerca la calma e il raffinato tessere di cose piccole come accade anche dentro “L’Aquila” in fondo: si respira il passato e forse si definisce più l’identità dei Bob Balera.
Questo disco ci piace molto e devo dire che nonostante l’ostentata somiglianza ricercata e voluta, emerge personalità e diversità, anche dentro i coraggiosi arrangiamenti che non poche volte codificano il disco in un suono rock ruvido e acido. Al modo inglese devono molto… alle balere anni ’80 e ’90 anche. E questo è punto fermo facile da chiacchierare. Da qui a saperlo restituire è un compito arduo e questo disco assai spesso ci è riuscito.