Cantante, cantautrice, da sempre immersa nei suoni, nella forma canzone… e da oggi anche padrona della sua penna con un disco di inediti personali che ha intitola “Petricore”, parola che mescola in se una transizione, un concetto di fine e nuovo inizio, di una bellezza digitale, moderna, post-apocalittica ma anche di canzone d’autore classica con una voce che sa ben coniugare empatia e didattica, fragilità e sicurezza espressiva. Vito Gatto che alla direzione artistica ha restituito un suono che sta sospeso dentro figure metropolitane, dove anche il pop mostra soluzioni mai scontate e davvero molto affascinanti. Indaghiamo come nostro solito…
Inizia una carriera solista. Finalmente direbbe qualcuno. Esiste davvero qualcosa, qualcuno, un evento o altro che ha determinato questa trasformazione? Magari una canzone…
A parte sfumature di contorno, episodi che naturalmente succedono nella vita (come l’apparire di divergenze e strade che a un certo punto si dividono), sentire il bisogno di uscire nel mondo da ‘solista’ credo sia normale per chi scrive le proprie canzoni.
Non c’è stato un elemento scatenante in particolare, diciamo che ‘solista’ mi ci sono trovata, ed è andato bene :).
Un esordio che poggia molto le mani dentro questo futuro digitale. Fatta eccezione per una traccia e per alcuni momenti del disco, devi molto al suono sintetico o sbaglio? Come mai questa scelta?
Devo molto agli arrangiamenti di Vito Gatto che ha saputo dare una nuova veste alle mie canzoni, senza per questo snaturarle. Le origini dei brani sono chitarra e voce… sentivo che c’era bisogno di un arricchimento dei brani e anche di uno sguardo verso un sound un po’ più attuale… o forse non ero ancora pronta per un disco totalmente ‘nudo’. In più volevo vedere come saremmo arrivati in fondo, cercando di fare sposare due mondi così diversi.
E dunque come mai un brano totalmente acustico? Magari proprio così com’è stato concepito?
Ovviamente parliamo di “Esercitazioni”…
Esatto, ‘Esercitazioni’ è totalmente acustico proprio perché quelle sono le origini dei brani, che sono concepiti chitarra e voce, i miei strumenti privilegiati.
È un brano che ho scritto molti anni fa e che rappresenta ancora quello che sono: mi esercito nelle canzoni, mi sento lontana dalla bravura dei maestri stellari e, soprattutto, non so cosa diventerò.
Addirittura, volevo metterlo come primo brano del disco, come un manifesto, ma – arrivati alla fine della produzione – dopo aver fatto un lavoro di arrangiamenti che ci ha portati abbastanza lontani da quello stile, abbiamo creduto che non rappresentasse esattamente il lavoro e lo abbiamo lasciato racchiuso fra le altre tracce, come un piccolo respiro.
Il vero significato di “Petricore”? Per te intendo…
La parola mi ricorda il ‘Cuore’, un organo un po’ svalutato, poveretto… svalutato anche da me, forse, un tempo. Più che altro non compreso appieno. ‘Petricore’ mi fa pensare a un ‘cuore di pietra’, un po’ come era il mio, forse messo da parte dal mio cervello sempre ‘troppo’ presente.
E poi per noi… questa parola anche difficile da pronunciare… dove nasce e perché meritevole di tanta scena?
Ho sempre amato l’odore della terra bagnata appena inizia a piovere e non ho mai saputo come venisse definito. Quando Ivano (Rossetti, il bassista che suona con me da molti anni e che ha suonato anche nel disco), mi ha detto che aveva trovato questa parola, per me è stata come un’epifania. Quell’odore ha una forza particolare, è come se trasmettesse di per sé energia, in un intreccio strano di sensazioni. Nel momento in cui inizia un temporale è come se il tempo fosse sospeso, come se tutto potesse accadere e io mi sono trovata così, mentre stavo cercando di capire come realizzare il mio disco, non sapendo dove mi avrebbe portata e non sapendo quello che poi sarebbe successo nella mia vita, ovvero un periodo di importanti cambiamenti della mia esistenza.
Parli di viaggio quando ci racconti questo disco. In fondo a quel viaggio c’è la consapevolezza di una fine o una nuova nascita?
Tutte e due le cose, in effetti… ma, proprio dopo questi anni di cambiamenti, ho imparato (o almeno mi sforzo di farlo) a pensare in maniera circolare e non lineare, a cercare di non scivolare nel dualismo affannoso che avvolge il nostro tempo: inizio/fine, giusto/sbagliato…
Ogni inizio forse è preceduto da una fine e viceversa e, soprattutto, il bello è che il viaggio non finisce mai!