Di Elisabetta Malantrucco
Nessuna struttura potrà mai contenere lo spirito di Enzo Del Re, cantastorie di Mola di Bari nato e vissuto dalla ‘parte del torto’.
Così pensa e afferma la giornalista Timisoara Pinto, che nel volume ‘Lavorare con lentezza. Enzo Del Re il corpofonista’ (Squilibri editore, prefazione di Giovanna Marini) racconta con cura, affetto, passione e una infinità di dettagli, la vicenda umana e musicale di questo artista senza maestri e senza allievi.
Quello della Pinto è un libro ricco di contributi, di foto, di testi di canzoni, di testimonianze – come se le appendici stesse fossero insaziabili – e soprattutto ricco di tanta musica, con due preziosi cd allegati allo stesso: uno raccoglie il succo e il meglio della serata organizzata in ricordo di Del Re a Mola di Bari, il 22 agosto 2011 (un lungo omaggio con la partecipazione di Faraualla, Terrae, Antonio Infantino,Tonino Zurlo, Teresa De Sio, Fabularasa, Alessio Lega, Luca De Nuzzo, Radicanto, Piero Nissim, Têtes de Bois, Vinicio Capossela), l’altro vede protagonista assoluto proprio Enzo Del Re, la sua sedia e la sua voce. Quest’ultimo in particolare è la vera chicca dell’operazione, perché Enzo girava con il suo valigione pieno di musicassette ovunque andasse e lo faceva andando a piedi (le automobili erano e sono un simbolo del potere borghese …) ma i cd con incisa la sua voce sono davvero rarissimi.
Chi era Enzo Del Re?
Negli ultimi anni prima della sua scomparsa, grazie ai Têtes de Bois e a Vinicio Capossela – che lo hanno voluto come ospite d’onore ai loro festival e concerti – e grazie anche all’invito prezioso del Club Tenco alla Rassegna della Canzone d’Autore, Del Re ha avuto un momento di riscoperta, se non di notorietà; ma per conoscere davvero l’uomo e l’artista bisogna affidarsi a Timisoara Pinto, che per anni lo ha seguito, intervistato, coccolato, compreso, adottato; ha poi sfogliato migliaia di pagine di giornali, andando alla ricerca di testimoni, amici, nemici, gente stupìta, gente dimentica o dimenticata, a caccia di ogni informazione utile, di ogni respiro trattenuto.
In Lavorare con lentezza. Enzo Del Re il corpofonista c’è tutto questo e altro ancora.
C’è il profilo di un uomo del Sud, sfuggente nella sua integrità al limite del surreale; c’è la sua vicenda intima e la storia della sua famiglia e delle sue origini, c’è la ragione delle scelte: l’amore per la musica e la missione sociale – l’impegno per il Popolo, verso il Popolo con il Popolo – in una simbiosi tra arte e politica senza sfumature filosofiche, senza intermediazioni culturali, senza compromessi.
C’è un uomo con la barba, le scarpe di qualche numero più grandi, la coppola rossa, la sedia da far vibrare e il Corpo – strumento musicale prediletto – che non si è fatto catturare da nessun padrone, sfuggendo anche se stesso.
Ma non basta, perché la Pinto non propone solo il bel ritratto di un artista: questo libro è anche e soprattutto il racconto di una età lontana, la parte centrale degli anni Settanta, gli anni della contestazione e della partecipazione, dell’utopia e del mito operaio e contadino, della poesia e delle speranze di un mondo d’arte che lavorava per il Popolo (quello vero, con la P maiuscola) senza riuscire mai ad esserlo, in questa perenne contraddizione della borghesia illuminata.
Una contraddizione che Enzo non ha dovuto superare perché Enzo del Popolo era la voce.
Una contraddizione e un mondo che la Pinto sa evocare con bravura e disinvoltura, con qualche tratto pittorico tra ricordi e racconto, e una reale partecipazione emotiva e sentimentale, ma sempre senza perdere la lucidità del narratore.
Senza mai – ed è questo che chi scrive ha soprattutto apprezzato – abdicare al dovere del cronista.
Questo volume è, infine, un contributo preziosissimo per un lavoro storico su quegli anni: quelli di Enzo Del Re e di Antonio Infantino in giro per il mondo, di Dario Fo e Ci ragiono e canto, di Giovanna Marini e dell’arte popolare.
Un racconto fluente e coinvolgente, leggero eppure serio e documentato, dinamico, eppure realizzato ‘con lentezza’, perché anche noi, per dirla con Enzo “amiamo il lavoro ma odiamo la fatica”.
Un racconto tenero ma essenziale come il polpo e il riso che Enzo Del Re mangiava ogni giorno.