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Quando Marco Rovelli mi ha proposto di realizzare un nuovo disco “partigiano”, chiamando a raccolta esponenti a vario titolo della scena rock nazionale, ho accettato subito e senza riserve l’idea, per quanto comportasse l’esclusione di altri artisti che, molto vicini alla nostra casa editrice, da tempo coniugano arte e impegno civile. Il riferimento iniziale, e per molti versi obbligato, è stato Materiale resistente, il disco pubblicato nel 1995, in occasione del cinquantesimo della Resistenza. E a me pare molto significativo che accanto ad alcuni dei protagonisti di quell’operazione ci siano ora altri autori che allora, in alcuni casi, avevano appena dieci anni o poco più: segno di una storia che continua, di un lascito ideale che si rinnova.
Quel che più conta è che, in queste quindici canzoni si delinei uno spaccato di grande efficacia su ciò che è stata la Resistenza, pietra angolare di una nazione fondata su una lotta alla quale hanno preso parte tutte le sue componenti, dai monarchici ai cattolici, dai socialisti ai liberali, dai comunisti agli azionisti: tutti, conservatori, progressisti e rivoluzionari, impegnati in una lotta contro l’invasore e, allo stesso tempo, contro l’oppressore. Una guerra di liberazione, dunque, che è stata anche una guerra civile in una dimensione drammaticamente epica che risuona in molte canzoni ed emerge anche dai dipinti di Beppe Stasi, ricolmi di rimandi ed omaggi eloquenti, da Picasso a Franco Angeli. Un evento fondativo, dunque, per la nostra comunità che dovrebbe porsi come un’idea regolativa per le scelte e azioni di tutti, senza mai ridursi a un monumento inerte, sul quale prima o poi si posano i piccioni, e neanche diventare un’occasione per la ricerca di un “nemico” a tutti i costi, come suggerito nuovamente da alcuni canti e altri dipinti.
Accanto a canzoni che esaltano l’attitudine marziale di un popolo in lotta si pongono così altri brani che celebrano le gesta e le intenzioni di sbandati, disertori e renitenti alla leva, in un contrasto in realtà solo apparente. Uomini e donne che accorsero allora alle armi, a rischio della loro stessa vita, rispondevano, con un altissimo senso di responsabilità, a quanto reclamava l’eccezionalità del momento storico che non lasciava loro alternative: sapevano però, e l’hanno poi dimostrato, che la via maestra per una convivenza civile è tracciata dalla pace, da ricercare sempre e in ogni modo, e non certo nel cercare aiuti e sostegni per la guerra.
Nati nella stessa temperie culturale, gli uni e gli altri canti incarnano così valori universali che si ritrovano ad ogni latitudine, in ogni angolo del mondo, ovunque ci siano oppressi ed oppressori, ed acquistano pertanto una risonanza internazionale come testimoniato anche dalla diffusione planetaria del canto principe della “nostra” Resistenza. Per cortei e piazze lontane, Bella ciao risuona come un grido di libertà che, travalicando confini e frontiere, rivela l’angusto e misero sentire di chi vorrebbe rinchiuderci nel tepore asfissiante di una serra, mentre è solo lì fuori, in mare aperto, dove maggiore è l’urgenza di una solidarietà umana, che si gioca la possibilità più autentica di far rivivere lo spirito e la tensione morale della Resistenza.
Questo sembra suggerirci l’ultimo dei dipinti che compaiono in queste pagine, dipinti che, come una sorta di controtesto, disvelano e precisano quanto è affidato ai canti.
Domenico Ferraro, direttore editoriale Squilibri