Si è conclusa sabato 4 ottobre La Rassegna della canzone d’autore organizzata dal Club Tenco. Nata nel 1974, compiva i suoi magnifici quarant’anni e lo ha fatto dedicando la sua musica la sua cultura e la sua passione alle Resistenze.
Resistenze al plurale, resistenze nel mondo, resistenze personali e resistenze collettive, contro ogni dittatura, ogni sopruso, ogni abuso di potere; e a favore di ogni lotta per la libertà e per la vita.
Per chi ama la musica, per chi di musica vive in senso reale e in senso lato non è difficile comprendere come proprio la musica sia la via principale verso la libertà.
Ma per chi considera queste solo inutili utopie per poveri allocchi sognatori, abbiamo pensato di raccontare solo alcune delle storie che nel fitto calendario della Rassegna si sono susseguite.
E non possiamo che partire dalla voce da soprano di Esther Béjarano, una magnifica e minuta signora quasi novantenne, salvatasi da Auschwitz perché entrata a far parte dell’orchestra femminile suonando la fisarmonica… Sopravvissuta scappa in Israele dove incontra quello che diverrà suo marito, Nissim. Ma Nissim decide di emigrare perché non vuole vivere in quella guerra perpetua contro gli arabi che ben presto diviene la vita in quel di Palestina. Ma l’unica terra che può davvero accoglierli è quella d’origine di lei: la Germania. Esther a lungo ha paura, ogni volta che vede un poliziotto trema. Eppure grazie alla musica e alla sua forza immensa riesce a trasformare la tragedia in una magnifica storia di vita e di resistenza, appunto. Ora canta nel gruppo rap di suo figlio. Perché a casa di Esther, da sempre, la musica è una ragione di vita.
Anche per Enzo del Re, che per farla usava strumenti non convenzionali: lui si definiva un corpofonista, suonava con la lingua e trasformava le sedie in percussioni; Enzo del Re cantastorie di Mola così resisteva alla violenza della sedia elettrica. La storia di Enzo è stata raccontata dalla giornalista Timisoara Pinto in un volume dal titolo Lavorare con lentezza. Enzo del Re il corpofonista, presentato durante gli incontri pomeridiani organizzati dalla rassegna sul tema delle resistenze.
E storie di resistenze raccontano da più di vent’anni i Tetes de bois: dalle resistenze degli operai uccisi dall’uranio o dagli incidenti sul lavoro, alla resistenza di Alfonsina Strada, unica donna a partecipare al Giro d’Italia. Dalla resistenza dentro una cella buia e alta un metro e quaranta di Giovanni Passannante, il repubblicano che attentò alla vita di Umberto I con un coltellino da cucina e che fu ‘graziato’ dalla morte ma condannato ad una vita di malattia e pazzia. E quando finalmente fu la morte a graziarlo dalla vita, gli venne tagliata la testa, per esporla al museo criminologico di Roma.
I Tetes erano al Tenco a ricordare Léo Ferré, un musicista, un poeta, un anarchico, un resistente, grazie ad Extra, loro secondo disco dedicato al grande artista francese al quale, quarant’anni fa, venne assegnato il primo Premio Tenco. E c’era anche Pino Gennari, un professore di francese che portava i suoi studenti a Castellina in Chianti, a casa di Ferré, accolto dall’artista come amico e come familiare. È dalla scomparsa di Léo che Gennari organizza quasi da solo un Festival tutto dedicato a lui. Lo fa a San Benedetto del Tronto, con la resistenza dell’amore e della passione, per la bellezza, per l’arte e per la musica, che poi sono la stessa cosa. Ci sono passati tutti a quel festival, anche Juliette Gréco. Eppure pare che nessuno lo sappia. Ma Gennari resiste.
Così come resiste Gaetano D’Aponte, il papà della cantautrice Bianca D’Aponte, scomparsa in giovanissima età, lasciando più che delle canzoni delle vere perle di rara bellezza. Un genitore non dovrebbe mai sopravvivere ad un figlio e proprio per questo – affinché quelle perle e quell’amore per la musica sopravvivano non solo al genitore ma ad ogni cosa mortale… e cos’altro sopravvive, cos’altro può rendere immortale un essere umano se non l’arte? – proprio per questo, si diceva, Gaetano da dieci anni organizza un Festival ad Aversa dedicato alle cantautrici, un festival che è un incanto e un miracolo di gioventù e speranze. Ebbene il Tenco ha deciso di rendere questo festival internazionale: ha deciso che la musica e le parole di Bianca siano conosciute in altre lingue. Come quella Ninna Nanna tradotta in catalano e interpretata dalla bravissima Claudia Crabuzza, che ha commosso tutti i partecipanti degli incontri pomeridiani.
Ha commosso anche Simone Cristicchi al Casinò col suo racconto del Magazzino 18 e del grande esodo della popolazione istriana alla fine della seconda guerra mondiale. Una storia italiana che gli italiani hanno nascosto sotto la sabbia. E lo hanno fatto spesso per motivi ideologici. Questo spiace, perché la forza di un’idea importante e bella passa soprattutto attraverso l’accettazione della verità, anche quando è scomoda.
Questo pezzo si è fatto già lungo e non abbiamo ancora parlato dei 5 Premi Tenco assegnati: a quella incredibile voce di Maria Farantouri, per cominciare, interprete privilegiata di Mikis Theodorakis, costretta all’esilio durante la dittatura dei colonnelli; al grandissimo José Mario Branco, esiliato in Francia fino alla caduta della dittatura di Salazar; ha detto in platea: ‘Sono due anni che non canto e non rilascio interviste, perché viviamo in un’epoca buia e senza speranze. Sono venuto qui per il grande onore che mi avete fatto’. Ed ancora il gruppo rock ceco Plastic people of the universe che all’epoca della cortina di ferro ha pagato con il carcere la sua musica underground … John Trudell, invece, nativo americano ed ex presidente dell’American Indian Movement, è divenuto cantautore per resistere alla morte causata da un incendio (molto probabilmente doloso) di tutta la sua famiglia e anche se chi scrive ama John Ford ci dispiace e va detto: chi resiste sta con gli indiani… Infine il nostro Gianni Minà, uno dei più grandi giornalisti italiani, che ha raccontato e ancora racconta l’America Latina come nessuno è stato mai in grado di fare e che ci ha ricordato come noi italiani siamo ormai assuefatti alle notizie che ci vengono confezionate senza più alcuno spirito e senso critico. Si resiste anche e soprattutto risvegliando i neuroni.
Hanno dato prova di grande resistenza i volontari del Club Tenco a stare un po’ dietro a tutto il via vai, gli eventi, le notizie, gli arrivi, le partenze, le richieste, le esigenze. Molti non sanno che fanno tutto per passione e gratis. Ebbene sarebbe il caso anche di ricordare che viviamo in un Paese dove le cose belle si fanno per miracolo. Si fanno senza soldi. Eppure si fanno. E si lasciano criticare pure.
Infine vorremmo dire una parola sulla Resident band che ha accompagnato gli artisti italiani che hanno interpetato le canzoni tradotte da tutte le parti del mondo in cui si è combattuta una lotta per la libertà. Diretta da Rocco Marchi si è distinta davvero per bravura. E infine vogliamo anche fare un accenno alla professionalità e al coinvolgimento che tutti questi artisti invitati solo a cantare ‘gli altri’ hanno dimostrato. E per essere sinceri la cosa ha anche meravigliato positivamente chi scrive. Bravi la Turci, Finardi, Alessio Lega (ma lui lo ha sempre fatto…), Brunori e Dente, Hernaez, La Crabuzza, l’ottimo Capovilla, lo straordinario Diodato.
E chiudiamo questo pezzo davvero troppo lungo tornando ad Esther Béjarano di cui ci siamo follemente innamorati. Perché abbiamo voluto aspettare la fine per raccontare la cosa più importante: Esther si è salvata grazie alla fisarmonica, ma lei non la sapeva mica suonare… il suo strumento era il pianoforte ma quello, nel campo, non c’era. Esther mentì e la signorina che le aveva chiesto se sapeva suonare volle metterla alla prova chiedendole di farle ascoltare Du hast Glück bei den Frauen Bel Ami, una canzoncina molto famosa tratta da un film dell’epoca. Esther chiese qualche minuto per provare, prese in mano la fisa, cercò di capire come funzionavano tutti quei bottoni e un Dio – noi pensiamo non fosse quel Dio trascendente in nome del quale molti continuano a morire, ma quel Dio assolutamente immanente che vive dentro di noi – in quel momento l’ha aiutata a trovare e a suonare quella canzone.
Che Esther non ha più cantato e suonato, fino a quando il jazzista Gianni Coscia non l’ha convinta, perché questa canzone le ha salvato la vita.
Perché la musica salva la vita.