Mi arriva a casa l’opera di questo da me sconosciuto cantautore.
Premo play la prima volta e dico… “beh! Un Degregoriano!”
Non vado oltre questo al primo ascolto, non per malavoglia o pregiudizi e diffidenza e neanche perché ciò che odo non mi piaccia ma…
È sempre così, io non mi impongo la musica, faccio finta di essere come la maggioranza di persone alle quali la musica “accade per caso” in un ascensore, dal parrucchiere, alla radio tra le solite programmazioni dei network… insomma, faccio andare il mio network di cose da fare, da dire, da vedere e da ascoltare, fin quando mi ritrovo la musica di Emigli sotto il tasto play, attivo anche la ripetizione e inizio a dipingere Roma ascoltando “Stelle in Eccedenza”.
Mi vengono all’orecchio dapprima gli spigoli: la voce è un po’ forte rispetto al sound strumentale, ma in verità è il principale difetto della musica leggera italiana, innamorata un troppo della voce, qualunque essa sia e troppo poco dell’eccellenza degli strumentisti che suonano, creano il groove; le parole ricercate senz’altro, non sempre rotolano via come fa invece la melodia, ma anche qui mi viene in mente che siamo un po’ disabituati ad ascoltare la costruzione articolata e forte dei testi in italiano, che ci inorgogliva fino a qualche anno fa e ora, tranne qualche Bersani o Segreto, bisogna andare proprio da De Gregori, Fossati per far pace con la pigrizia dell’orecchio e accomodarsi su metafore, ermetismo, storia e vocaboli meno abusati.
La melodia, sempre molto fluida, forse non è originalissima, ma in tutti i pezzi sembra molto convincente e rende le atmosfere suggerite dalle parole e dagli arrangiamenti, soprattutto è sempre orecchiabile ed è un pregio.
Allora…
Mi fermo tra la fine del primo ascolto e il secondo…
Un po’ di silenzio e poi decido che posso concludere:
Fabrizio Emigli, tra Fossati e De Gregori, tra suoni acustici molto jazzati e spazzole su rullante e ricordi da Folkstudio, ci dona un album molto melodico, ben suonato, raccontato nelle parole senza cadute e con una piccola perla a mio parere, “Una Pietra Sopra”.
Già detto dei testi molto originali e a volte ermetici e metaforici, ma non mancano prose dirette di culi e tette, molto, ma molto belli da udire e vederci infrangere sopra la melodia come un fiume sui nostri ricordi, perché questo disco, se gliene dai l’occasione, ce li porta a galla e ci fa cantare, poi danzare un lento waltz (Pugno di Dio), e esercizio fuori moda ultimamente, ci fa pensare.
Un’opera che ha il pregio di dover essere ascoltata più volte per poterci entrare dentro, e io, che alla fine di questa recensione, sto concludendo il terzo ascolto intorno alla bellissima “Quanto mi Dai”, assodato che anche i nuovissimi e giovanissimi cantanti da reality non fanno altro che cercare ballad profonde e melodia, più che avanguardia e originalità, dico: procuratevi il piacere di poter scoprire Fabrizio Emigli e le sue canzoni melodiche, profonde, classicamente nuove e sorprendenti!