Entra in sala ed è avvolto da uno scroscio d’applausi. «Capirei di stare a Napoli anche se fossi bendato», esclama Fossati. Tornato nella città partenopea per la quarta volta nel giro di due anni, l’artista non smette di trovarci persone interessate a vederlo e a parlargli, non per forza per porgli domande, come spiega: «Napoli è davvero qualcosa di straordinario. Popolo al contempo festante e attentissimo. Non mi capita dappertutto di essere fermato ogni cinquanta metri da persone che, dopo averti fatto sedere al tavolino per offrirti un caffè, non ne approfittano per farti un’intervista privata, no! Preferiscono invece raccontarti tutta la loro vita! Ricordo certe passeggiate per Napoli per le quali, dopo tutti i caffè, tornavo a casa completamente schizzato».
E, con il massimo della sincerità, che è una grande virtù dell’uomo Fossati, oltre che dell’artista, specifica: «Non dico queste cose per piaggeria, non le dico per ogni città: sarebbe davvero riprovevole. Tant’è che vi confesso che, escludendo Genova e Napoli, l’altra città che amo è Trieste. Non ho ben presente il perchè, per Napoli credo di averlo capito». L’occasione di questa visita è la presentazione dell’ultimo album live, “Tour acustico”: un disco nato per caso, in seguito ad un giro di concerti particolarmente fortunato. «Un giorno mi chiama il produttore e mi annuncia entusiasta: “Abbiamo delle ottime registrazioni!”. “Ah, sì?”, gli rispondo contento. Talmente ero ansioso di ascoltarle che l’ho fatto…sette mesi dopo. Comunque aveva ragione, e abbiamo inserito i brani venuti meglio. Nessun significato particolare nella scelta dei pezzi, quindi». L’incontro diventa una piacevole chiacchierata con il pubblico che, coinvolto e dinamico, partecipa attivamente. Ai complimenti che si susseguono a ripetizione Fossati risponde: «Queste canzoni hanno fatto un passo in avanti con il tempo. Non credo d’essere stato io e nemmeno i miei musicisti, che sono eccezionali. Forse lo hanno fatto le canzoni stesse». Concetto che lo indirizza, molto più di una volta, a ricordare con estrema ammirazione e rispetto un suo vecchio “collega”, soprattutto un amico: «Le canzoni di De Andrè, fateci caso, anche se scritte venti o trenta anni fa, sono sempre attuali. Come se l’autore e le canzoni stesse parlassero del futuro. L’immortalità di esse è ciò che differenzia un grande autore da un bravo autore». Arriva allora anche il momento in cui, in maniera teorica, si dipinge il ritratto delle sue canzoni. «L’illusione è quasi tutto: la ricerca di vedere un pochino più lontano. Farlo nelle canzoni diventa un gioco perchè bisogna sintetizzare. Sono contento di dover dire quello che sento nell’arco di quattro minuti: di solito non ci si riesce, ma la sintesi dà l’illusione di esserci riusciti lo stesso. Come per “Smisurata preghiera”: come si fa a dire che oltre la maggioranza esiste anche la minoranza, in quattro minuti? Lì c’è allora l’illusione…e soprattutto il genio di Fabrizio». I personaggi delle canzoni sono spesso sbandati: giovani che a 18 anni non hanno terra dove andare; albanesi che vengono in Italia con un sogno che poi viene tradito; l’uomo di “Cartolina” che si estranea dal mondo perchè ne è spaventato; l’uomo de “Il disertore” che invece prende una chiara decisione. Il sottoscritto gli domanda, con simpatia: «Ivano, anche tu ti senti sbandato?». La risposta è lucidamente sincera: «Probabilmente sì. Non afferro chi ha il coraggio delle opinioni istantanee, e si mette sempre in prima fila. Sono onesto e dico che spesso non ho un opinione, almeno non subito. Oggi ci vuole più coraggio ancora per affermare: “Non ho capito”. Bisognerebbe sempre ricercare prima di dare una risposta».
Antonio Piccolo