Se ne parla ovunque.
Sparando spesso minchiate a iosa, anche sulla provenienza del duo che sta rinvigorendo il rock italiano tornando all’ essenzialità, anche strumentale.
Due chitarre folk e una grancassa, come dei buskers da metropolitane affollate.
Fermi davanti ai cessi pubblici, a cantare le proprie piccole storie, che diventano affari di tutti.
Perché tutti abbiamo in petto “una bomba nel cuore che tra poco esplode”. BOOM!
I riferimenti sono ovviamente in ogni luogo dove una chitarra acustica a tracolla abbia fatto paura: Woody Guthrie, Leadbelly, Bennato, il Beck sghembo di Mellow Gold e One foot in the grave, Gene Vincent, i Proclaimers, Rino Gaetano, Johnny Cash, le Violent Femmes, l’ Acustica Tribù, Billy Bragg, il Bugo westernato o i primi Zen Circus.
Canzoni folk figlie dell’ età del precariato a tempo indeterminato.
Canzoni da tempo libero, l’ unico che ci resta.
E del disinganno, l’ unica forma di fedeltà delusa con cui abbiamo imparato a convivere.
Sono all’ osso è il figlio perfetto di quest’ epoca dell’ economia cascante, sin dal nome che si è scelto.
Ha una grinta da cose sottratte.
Come quando ti rubano l’auto parcheggiata sotto casa e resti come un minchione a rigirarti le chiavi tra le mani e la rabbia di sentirti depredato ti fa salire la bile con piccoli conati di vomito.
Le dodici tracce di Sono all’osso sono ceppi di legna che bruciano in un camino di una casa in affitto.
I cari uomini-mostro della società elettrica vi hanno lasciato senza energia perché loro hanno cura dell’ ambiente ma nessuna cura di voi, se non avete soldi in tasca.
Al buio.
E col telefono sotto controllo (Il centauro).
Eppure gli strumenti del Pan del Diavolo funzionano ancora.
Funzionano ovunque.
Funzionano sempre.
E’ questo il vero senso punk che cola da questo disco.
E’ un bivacco vagabondo che basta a se stesso.
Totalmente indipendente.
La vita tesa di Elio
