martedì 13 luglio 2010
Un gradito ritorno nel programma di Folkest di questa sera: dieci anni sono passati dall’ ultimo lavoro discografico di Nosisà, dieci anni come l’attimo fuggente ed eterno di un’eclissi di sole, ma la stella ora splende di nuovo vigorosa. Il nuovo disco è “Nero carbone”, nero come la notte, nero come l’africa, nero come un suono lontano. I Nosisà sono di nuovo in scena, pronti a stupire ancora chi li ha amati, cantati, seguiti e abbandonati. Se volete saranno luce e colore, un raggio di calore in un mondo nero carbone… Cosi si presentano al loro pubblico a distanza di un bel po’ di anni: alcuni avvicendamenti nella formazione hanno condotto a una line-up molto compatta, dal grande tasso tecnico. Ne è scaturito un suono definito e caratteristico, con una cifra stilistica che conferisce ulteriore valore all’elevato tasso tecnico dei singoli musicisti, che fanno di questa formazione una delle grandi realtà della musica friulana. Li potremo ascoltare nello scenario unico di Villa De’ Brandis a San Giovanni al Natisone, una location che negli anni ha sempre ospitato grandi concerti per Folkest, Noa e Klezmatics fra gli altri. FORMAZIONE: Flaviano Miani – fiati, tastiera, canto; Gianluca Zanier – basso elettrico; Paolo Mattotti – chitarre; Stefano Penta – violino; Massimiliano D’Osualdo – fisarmonica; Claudio Cappelli – batteria.
Dalla provincia di Udine a quella di Trieste, dove Folkest (grazie anche alla partnership con i ministeri per i Beni e le Attività Culturali e Affari Esteri della Repubblica Italiana, del Ministero per la Cultura sloveno, del Presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, dell’Enit – Agenzia Nazionale del Turismo; con l’Assessorato all’Istruzione e alla Cultura Regione Friuli Venezia Giulia, dell’Assessorato alle Attività Produttive Regione Friuli Venezia Giulia, del Comune di Spilimbergo, della Scuola Mosaicisti del Friuli, della Fondazione Crup, con il contributo fondamentale di Assicurazioni Generali Spa, Consorzio Cooperative Latterie Friulane, Utm-Unione Tipografica) approda a Aurisina, con doppio concerto che mette a confronto due stili musicali al femminile: la cubana Sol Ruiz e la texana Ginger Leigh con la sua band.
Sol Ruiz ama definirsi la “figlia dei fiori del cuban-blues-psichedelico “, questa neo-hippy di origini cubane che mixa il son ed altri stili di world music con il “gritty” blues , tipico del “dirty south” degli States. Sol Ruiz incide per la Emi da quando era solo diciannovenne ed ha scritto molte canzoni per interpreti del pop latino. Ma lei ha preferisce, quando puo, scappare a New Orleans ad esibirsi per strada, alla ricerca delle proprie radici blues. Il suo personaggio prevede un cilindro in testa e un sopracciglio verde, il suo sound è definito psychedelic cuban blues. Le sue esibizioni sono spontanee ed imprevedibili come lei: una globetrotter in infradito che racconta storie di amori perduti ed altre selvagge avventure vissute nei suoi tour in USA ed in Europa, combinando teatralità, intimità e misteriosa stravaganza. Come ha scritto un giornalista spagnolo: “Mi ha lasciato una sensazione di scoperta che credevo aver dimenticato. Sol rivela, cambia i colori e crea una miscela esattamente come dev’essere”.
Ginger Leigh possiede uno stile personale e riconoscibile, in ideale equilibrio fra pop, rock texano e jazz, qualcosa che ricorda Bonnie Raitt ma che è soprattutto Ginger Leigh: già più volte applaudita sui palchi di Folkest, torna a grande richiesta per regalarci la sua musica. Figlia e nipote di artisti country, pronipote di un jazz man dixieland molto acclamato prima della seconda guerra mondiale, a dieci anni era già leader di una “boy band” insieme con il fratello. Da allora, non è mai scesa dal palco. Il suo ultimo disco “Better Than Well – Live at the Saxon,” è la testimonianza di uno spettacolo registrato ad Austin insieme ai migliori musicisti della scena texana, nel corso del quale ribadisce il proprio concetto totale e trasversale del “fare musica”: oltre ogni genere, nel nome della qualità.
Completa la ricca serata di Folkest, fra le storiche testimonianze di Valvasone, la Paul McKenna Band, al suo secondo concerto al Festival. Dal 2006, questa giovane band è considerata l’ambasciatrice della new wave della tradizione scozzese, capace di mantenersi in perfetto equilibrio fra testimonianze arcaiche e nuove composizioni, sorretta dalla forza trascinante della chitarra e del bouzouki, dalla profondità del violino, cui si associano il calore di flauti e whistles e le dinamiche del bodhrán e delle percussioni. Al loro attivo un solo album, “Between Two Worlds” (Greentrax 2009). “Living Tradition” li ha definiti senza mezzi termini “la miglior band della loro generazione” e l’Edinburgh Folk Club ha descritto il loro spettacolo: “Grandi canzoni, grande musicalità, ma più di tutto grande entusiasmo. A questi ragazzi piace davvero la musica che fanno, e si vede. Il pubblico risponde estasiato ovunque si esibiscano”.
