“Chi ha il coraggio di vivere con due accordi?” Questo si chiedeva Peppe Voltarelli in una delle sue incursioni come tappabuchi sul palco dell’Ariston, in una delle serate della Rassegna della Canzone d’Autore 2011. Lo chiedeva a se stesso? Lo chiedeva a noi in platea? Era una domanda retorica?
Chissà?
Di sicuro però, quella era la domanda giusta, per interpretare il senso, i suoni e i colori dei tanti elfi ninfe e folletti che abitano questa macchia mediterranea (di fronte al mare) che è il Premio Tenco.
Per interpretarla soprattutto quest’anno, perché a causa della crisi, o della mancanza di volontà politica (miopia? Scarsa attenzione alla cultura? Sono solo canzonette non metteteci alle strette?) la Rassegna ha rischiato di saltare ed è comunque stata realizzata rinunciando ad alcuni appuntamenti che la contraddistinguevano.
Gli organizzatori hanno avuto coraggio, il coraggio di vivere con due accordi. Perché erano signori accordi, per fortuna. Ma potevano scegliere di rinunciare, dando un segnale forte e incontrovertibile: il fatto che l’arte viva per forza di due accordi, due pennellate, due penne biro, un foglio di carta e tanta passione, rendendo comunque più bello, più vero, più felice questo mondo in cui viviamo, non significa che l’arte non debba un giorno ribellarsi e gridare: “NOI SIAMO IL TERZO STATO; senza di noi la vostra vita sarebbe solo squallore”.
Senza arrivare a scomodare Rivoluzioni, noi pensiamo semplicemente che la più importante Rassegna nazionale di musica d’autore dovrebbe essere tutelata e realizzata a prescindere, come un evento istituzionale. Ma si sa: noi siamo il Paese dove solo l’iniziativa dei privati riesce a rendere più bella (anche più brutta in altri casi, ahinoi!) la cosa pubblica.
E così gli organizzatori ci hanno fatto un regalo, pur sapendo che se l’appuntamento fosse saltato avrebbero dato un segnale molto forte. Ma gli enti pubblici non credano che i miracoli avvengano sempre. Non si illudano che si possa sempre fare con dieci ciò che richiede cento. Forse però i politici – è questo il guaio – nemmeno si accontentano delle loro laute prebende. Vogliono anche togliere la poesia a chi di questa vive. Perché non la capiscono. Tutta invidia. La loro.
Noi ci proviamo a capirla, ci addentriamo, ci riuniamo a Sanremo per rubarla, per conoscerla, per scoprire come cammina, fino a che il pubblico si confonde col privato, le storie personali con la musica, i nostri amori con le loro parole, i nostri dolori e accidenti… con le loro melodie. E io invidio tutti quei colleghi che riescono a raccontare senza confondersi nel racconto. Ma come fanno? Perché a me una vicenda, anzi, un “fatto” come il Tenco – per dirla ancora una volta alla Peppe Voltarelli –interessa proprio per il modo in cui è immaginato e vissuto da coloro che vi partecipano. Somiglia, sembra avere lo stesso scopo delle antiche fiere, delle feste del Patrono, quando pastori e contadini portavano merci, scambiavano informazioni, le donne mettevano il vestito della domenica. Si ballava, si cantava, nasceva l’amore. E nuovi scambi, nuove coltivazioni, nuove idee. Il Festival di febbraio è esattamente il contrario: una pantomima del Colosseo, dove i giornalisti fanno la parte dei leoni e gli artisti quella dei gladiatori senza nemmeno il gladio. Ti piace vincere facile, dice la pubblicità?
Al Tenco no. Il Tenco è il regno dello scambio, del sereno, della dolce musica, della comprensione; giornalisti, operatori culturali pubblico musicisti e autori a fare quello che riesce meglio loro insieme: vivere di due accordi.
Appunto.
Peppe Voltarelli (è l’ultima volta che lo cito, lo giuro) è un esempio vivente di tutto questo. Lui è amico, autore, attore, comico, cantante. Il superbo (in quanto folle) e folle (ma mai superbo) artista di Mirto Crosia può fare tutto quello che vuole, anche far ridere mostrando la foto delle sue scarpe o cantare una indimenticabile “Cicoria” con Petra Magoni (che momento quello!). Ma mi è piaciuto anche lo stile dei Nobraino che sono bravi e sul palco stanno sopra da Dio, un Dio che trasforma le aste dei microfoni in vogatori e tenta di suicidarsi sulle rotaie della macchina da presa. E quanta arte e quanta perizia ed eleganza nel set di Roberta Alloisio e dei suoi straordinari musici e quanto amore per Genova ferita in queste sere e in questi giorni di sole. E come si realizza magicamente in Patrizia Laquidara – nella bellezza quasi eterea e la voce straordinaria – l’idea di nazione che aveva Mazzini (il quale si è ben guardato di riunirsi con Garibaldi Cavour Vittorio Emanuele e Metternich nella stessa stanza: lo avrebbero arrestato! qualcuno avverta Edoardo Bennato che ogni favola è un gioco ma la storia non essendo un gioco non è nemmeno una favola con i lupi cattivi… e che sarebbe meglio che i cantautori cantassero e non facessero sermoni come ha fatto lui in conferenza stampa)… ma parlavo di Patrizia Laquidara che rende unita l’Italia andando dalla Sicilia al Veneto come Napoleone dal Manzanarre al Reno (che emozione e che onore consegnarle la Targa!!! Ma grazie, ancora grazie a chi me lo ha permesso…)…
E che dire dei girasoli e dei mandorli fioriti, dell’eleganza nelle parole e della maestria nei suoni dei baresi Fabularasa? E dell’omaggio a Rosa Balistreri di Cesare Basile? Per non parlare ancora della Piccola ma accogliente Bottega Baltazar.
Una menzione speciale va a Cristiano Angelini che si è scontrato con quella nuvola dispettosa che ha mandato tuoni e fulmini in mezzo ai fili maneggiati dagli instancabili tecnici. E se l’è cavata benissimo ugualmente.
E che dire dell’artista Ceco Jarek Nohavica? Dobbiamo dire che va ringraziato chi ha avuto l’idea di farcelo scoprire. Di farci ascoltare come sa suonare l’organetto (amado mio…). E di farci leggere i suoi struggenti testi, al punto di desiderare raggiungere un luogo di nome Ostrava: “Ostrava, dove ho lasciato gli occhi quando sono venuto qui.”
E complimenti a Ligabue, che sembrava l’impostore, il rozzo villano seduto al tavolo dei nobili (“Perché perché vogliono tanto male al Re?” per citare un grande film).. e invece no. E invece ha fatto scendere giù la platea, ma con sobrietà e con stile, con rispetto e intelligenza, mostrando così ancora una volta la sua onestà intellettuale. E meno male che c’era. Perché altrimenti tutti quelli accorsi lì solo per vedere lui, non avrebbero mai potuto gustare ed applaudire quelli giunti prima, quelli che vivono veramente di due accordi. Li hanno potuti sentire e scoprirli, ed emozionarsi per loro.
E tutto il resto?
Impressioni di… novembre.
P.s. posso salutare Timisoara Pinto, critica musicale e mai come quest’anno coraggiosa amica e Michelangelo Ricci, regista dolce gentile stanco e sereno?