Parla e sorride Roberto Vecchioni, mentre tormenta un pezzo di sigaro (lo mette in bocca e toglie continuamente; poi l’accende e sembra placare una momentanea eccitazione).
Cantautore, ma anche scrittore di numerosi libri di successo (e in tale veste, da anni, giurato del Premio Campiello), per noi di bravonline.it racconta le canzoni contenute nel disco (risalente ormai al 2018) dove tra gli ospiti figura Francesco Guccini che, per la prima volta, ha duettato con lui, nel singolo «Ti insegnerò a volare» ispirato al grande Alex Zanardi.
Vecchioni: pensa di somigliare in qualcosa a D’Annunzio?
No, non ho le caratteristiche del Vate: soprattutto sono meno pomposo e retorico. Vivo di angolini, non di spazi immensi. Ma anche D’Annunzio viveva in uno spazio piccolo, considerato che quelli che aveva a disposizione erano importantissimi. Come tutti i grandi poeti che hanno sacralizzato la Terra e i luoghi in cui hanno vissuto, D’Annunzio ha dato la sua impronta al Vittoriale. E non ha nessuna importanza che come poeta mi piaccia di più o meno di altri: quel che importa, ora, è la sua presenza in un luogo magico in cui respira la sua poesia.
Ma cosa resta oggi del mondo che D’Annunzio aveva realizzato per glorificare la sua esistenza?
D’Annunzio era una realtà miscelata tra Oscar Wilde e altri poeti, ma molto più classico, molto più nostro, perché oltretutto aveva una cultura straripante. Ed era molto singolare. Gli piaceva la forma estetica, l’esagerazione dell’aggettivo, la prosopopea, proprio nel momento in cui la letteratura europea espressionista andava al contrario: cioè tagliare invece di aggiungere.
Dall’alto della sua esperienza di autore di canzoni che hanno fatto epoca, secondo lei come si sta muovendo, al momento, la musica italiana?
In realtà siamo abbastanza nell’ordine della musica mondiale. Al momento c’è una definizione della musica molto più sintetica, più rapida; ma è emozionante lo stesso. Il pop, il rap e tutte le nuove mode hanno dei grandi esecutori, e i Måneskin non sono certo gli ultimi. È un modo di comunicare dei giovani che vogliono capire subito tout court quello che hanno intorno. L’unica mancanza è la perdita dell’espressione più vasta della parola, che va usata di più e meglio. E le tematiche sono la rabbia, l’amore, la morte e la fatica: sembra non si riesca ad uscire da questi argomenti. Questo è un peccato: bisogna trovare qualcosa di più, di diverso.
La linea melodica italiana è tramontata?
È rimasta nel liscio, nelle feste popolari. È tramontata nel senso di successo, ma è ancora vivissima perché ha una radice lontana e non può perdersi. La canzone all’italiana comunque perdeva colpi già da un po’ di anni: la voce spiegata non serve più a niente, il cantautorato ha cambiato tutto. Ma anche la stessa canzone dei cantautori ha dovuto cambiare penna, per molti versi: è rimasta nei grandi maestri, che sono vecchi, ormai, o se ne sono andati. Questa tradizione è difficile da riprendere.
Qual è la sua reazione alla guerra in Ucraina?
Reagisco non tremando, non spaventandomi né cercando soluzioni di chissà quale tipo. Tento di vivere una vita da persona normale come sono sempre stato, con gli stessi valori che ho sempre avuto. Se sarà il caso, per loro mi batterò. Ma per ora mi aggrappo alle cose che amo: famiglia, figli, amici, persone che la pensano come me. Perché questo mondo non può sparire per un’azione che non si sa dove finirà.
Progetti?
Tantissimi: televisivi, teatrali, musicali. Alcuni sono già a fuoco, altri un po’ meno. E poi c’è un romanzo da scrivere e ci sono tutti i concerti durante l’estate, cosa che non abbiamo potuto fare per due anni a causa del Covid-19, e quindi abbiamo molto da recuperare.
Di cosa parlerà il suo nuovo romanzo?
Essenzialmente della bellezza e della grandezza della mia compagna, che paragono a tutte le più belle e migliori donne del mondo.