Il successo sanremese di Splash, premio della critica all’ultimo Festival di Sanremo, ha bissato l’exploit di Musica leggerissima che, partito dall’Artiston si è imposto come uno dei pezzi più radiofonici degli ultimi anni. Colapesce e Dimartino sono diventati così la coppia di autori d’oro della canzone italiana. Ora che si apprestano a pubblicare il loro nuovo disco, le aspettative, con un’asticella posizionata così in alto, sono certamente molte.
«Una spiaggia immaginaria che diventa un limbo popolato da tante figure, marinai, ragazzi di destra, prostitute, che riflettono sul concetto della loro finitezza». Lux Eterna Beach è l’album che non ti aspetteresti, dalla stravagante coppia di cantautori siciliani Colapesce e Dimartino, allievi e fedeli di Franco Battiato, con obbligatoria spruzzata di Battisti (non casuale visto che esce con la rinnovata etichetta di lui, la Numero Uno). Una bella sintonia vocale, due cervelli acuti e curiosi, fra i rari di questi anni capaci di partorire versi che svegliano l’attenzione: «ma io lavoro per non stare con te», in Splash a Sanremo, ha dato aria a una problematica diffusa e taciuta. La ritroviamo qui in mezzo a inquietudini eterne e sempre attuali, come l’amore e gli addii, diversamente impaginati però. Due highlights: un incantevole pezzo di Ivan Graziani con la voce di lui, poi un titolo un po’ inquietante, Ragazzo di destra presago di discussioni. È comunque il ritorno della canzone che non parla di fuffa, dopo anni di disimpegno. Rispondono in due, al telefono, non stonano mai.
Andiamo dritto a Ragazzo di destra, alquanto sibillina.
«È una canzone sulla paura e la solitudine, non un attacco diretto, partendo dagli stereotipi della narrazione che la destra sta facendo degli ultimi anni, fra il timore degli invasori e la lode della famiglia tradizionale. Ma poi il brano si chiude con un ipotetico incontro fra noi e il protagonista. L’ispirazione è La guerra di Piero di De André, quando canta ‘L’altro si volta lo vede ha paura…’. È una canzone di pace, parte dal concetto che l’odio a ogni livello genera paura, come vediamo in questo momento storico. L’intento però è poetico non politico, non siamo iscritti a nessun partito».
Il Ragazzo di sinistra non vi è venuto in mente?
«Attualmente non c’è una forte rappresentanza degli ideali di sinistra, da anni ormai è difficile identificarsi con un leader politico. Ma anche qui di stereotipi ce ne sono tanti».
Timore di reazioni ?
«Abbiamo letto articoli su Libero o Foglio dove attaccavano la canzone e poi anche noi, senza saperne niente. I nemici in questo momento non ci sono, se la prendono con noi forse per questo».
Un album dopo tre anni di singoli di successo, siete sicuri sia una buona idea?
«Siamo dei romantici. È un disco ricco che va ascoltato tutto insieme, e così lo canteremo nei Club, che parte il 23 novembre da Bologna. Un tour molto suonato, siamo in 7 sul palco. E Davide Rossi è un grande arrangiatore».
E se quando sarete sul palco qualcuno vi attaccherà?
«Siamo convinti che il cantautorato potrebbe entrare in una discussione. Quello di protesta arriva sempre nei momenti di crisi, pensi solo al cileno Victor Jara. Negli ultimi anni è sparito, le canzoni son state sempre più leggere, la canzoncina d’amore, il nulla. Ha perso la funzione di veicolare un messaggio anche con uno sfondo leggero, come diceva Battiato. È giusto che le canzoni siano un po’ divisive, si ricordi quante critiche andarono a Inneres Auge quand’è uscito («Uno dice che male c’è/ a organizzare feste private/ con delle belle ragazze?… E perché dovremmo pagare anche gli extra/ a dei rincoglioniti?” ndr). Una canzone diretta che lui si poteva permettere. È anche il momento che altri comincino a scrivere canzoni necessarie per quest’epoca».
Però ci sono i rapper ormai a dominare la scena. Qualcuno di significativo c’è?
«Alcuni hanno avuto un ruolo importante, raccontano un disagio. Marracash oggi affronta argomenti adulti. E certo Fabri Fibra, un grande: abbiamo fatto con lui una bella collaborazione in Propaganda».
Nell’album c’è lo spirito di Battiato ma anche di Battisti.
«Hanno tracciato una terza via fra il pop e la canzone d’autore: un’idea di musica colta, trasversale. Pop esistenzialista, lo abbiamo definito. Battiato comunque resta il nostro babbo. Abbiamo invitato l’amica cantautrice Joan Thiele in Forse domani. Avevamo anche un immaginario pittorico quando abbiam cominciato a scrivere, un po’ il periodo della metafisica, De Chirico: la copertina si rifà infatti ai suoi colori, abbiamo immaginato i pezzi come degli affreschi».
Come vi siete incontrati voi due?
«Ci siamo conosciuti nel 2011 a Rock The Casbah a Marsala, ci siamo persi insieme nei vicoli. Ci siamo rivisti nel 2016, entrambi autori per la Sony, e abbiamo provato. Quest’anno abbiamo anche vinto un Nastro d’Argento per la colonna sonora del film La primavera della mia vita di cui quest’album è un po’ figlio».
Poi c’è il gioiellino di Ivan Graziani.
«Quando ci è stato proposto di completare I marinai, eravamo titubanti per una questione etica, poi è venuto a trovarci Filippo Graziani, ci ha spiegato che suo padre l’aveva scritta con i pescatori di Fano: cantava due strofe lui, e un ritornello i pescatori, ma senza parole. Abbiamo riscritto i ritornelli. Siamo entrati in punta di piedi, è stato emozionante. La frase: ‘Mi guadagno il pane come tutti fanno, per ogni figlio che è rimasto in mezzo al mare’, sembra scritta ieri».