Joe Henry per me è una delle domande rimaste senza risposta negli ultimi anni musicali. E’ un artista senza pari, che ha pubblicato undici album con un crescendo qualitativo ineguagliato. E’ un produttore di primissimo piano, assolutamente in linea con ‘guru’ come Rick Rubin o Daniel Lanois. Ricordiamo – giusto a titolo esemplificativo, tra gli album da lui portati al successo Don’give up on me (2002) di Solomon Burke, il grande ritorno di “The Bishop”, I’ve got my Own hell to rise, altra opera che segna un ritorno sulle scene, questa volta di Bettye LaVette, The river in Reverse, opera di Elvis Costello ed Allen Toussaint, una delle figure più interessanti dell’area di New Orleans. Inoltre ha collaborato con nomi magici della musica nera americana, quali Mavis Staples, Irma Thomas, Billy Preston e Ani Di Franco. Joe Henry fa parte quindi di quei produttori capaci di lasciare un’impronta forte e precisa sulla musica di cui si occupano, e di rilanciare quindi autori purtroppo sottovalutati e dimenticati. Perché domanda senza risposta quindi? Perché se si esce dall’ambito degli addetti ai lavori, Joe Henry è noto quasi solo per essere il cognato della signora Veronica Ciccone, in arte Madonna, visto che nel 1987 ha sposato Melanie Ciccone. Con la signora della disco pop il nostro ha avuto in realtà ben pochi contatti ‘professionali’. Due per la precisione: la prima occasione fu una cover del compianto Vic Chessnutt, Guilty by association, che interpretarono insieme, mentre Don’t tell me (dall’album di Madonna Music del 2000) è in realtà una pre-cover di Stop pubblicata l’anno dopo da Joe Henry nell’album Scar. La mancanza di diffusione e di notorietà tra il grande pubblico di un artista con Joe Henry, vista affiancata ad esempio ad una figura che si muove in un ambito musicale molto vicino, come Tom Waits, è assolutamente inspiegabile, al di là di una generica mancanza di promozione imputabile alle majors del disco. Entrando nello specifico, andiamo ad analizzare Blood from Stars , l’ultima incisione, datata agosto 2009. Il disco vede la presenza di alcune figure assolutamente di spicco del panorama musicale alternativo americano. In primis Marc Ribot, fin dalle origini a fianco di Joe Henry, oltre ad aver suonato in una buona fetta dei dischi più importanti degli ultimi anni (ha collaborato tra gli altri con John Zorn, Bill Frisell, Tom Waits e Elvis Costello), ha nel suo carnet qualcosa come diciotto dischi solista. Guest Star del disco anche Marc Anthony Thompson che proviene dalle fila della Seeger Session Band, la seconda band di Bruce Springsteen, che non ha nulla da invidiare alla mitica E Street Band. E’ doveroso parlare anche di Jason Moran, giovane pianista jazz dal curricola impressionante: collaborazioni con Charles Lloyd, Cassandra Wilson, Joe Lovano, Ravi Coltrane, Lee Konitz, and so on. L’album è palesemente da intendere come un concept, infatti si apre e chiude con lo stesso brano, descritto rispettivamente come prelude and coda: Light No Lamp When the Sun Comes Down, a partire dal piano bellissimo solo dell’incipit suonato da Jason Moran. L’album si dipana tra questi due estremi in atmosfere semi oscure, e tipiche di una notte passata ai tavoli di un piano bar a New Orleans. Racconti di violenza e di losers pervadono una musica che vede in Dr John e Tom Waits certamente i suoi rappresentanti più noti. Giudizio personalissimo e discutibile, vedo i momenti migliori nella track six, il meraviglioso blues di All Blues Hail Mary, e nella seguente – folle, ed incredibile – Bellwether. A queste si affiancano una serie di ottime ballads quali The Man I Keep Hid, in perfetto New Orleans style, Channels, Suit on a Frame, e Stars. Eccellente il sax in Over Her Shoulder, ed assolutamente commovente – fino alle lacrime – la track eleven: Truce. Un album quindi che è molto più di una riconferma, Joe Henry unisce atmosfere del secolo scorso con suoni che guardano lontano, mescola gli stilemi del free jazz o del noise con il cajun e l’alt-country, inventando una musica personalissima e di ampio respiro. Una band eccellente completa il quadro di un opera che mi permetto di consigliare vivamente, a meno che non amiate la musica di sua cognata.
Luca Giudici