a cura di Marco Annicchiarico.
Il quattro giugno è uscito il primo disco solista di Roberto Giordi. Per l’occasione, dopo l’ascolto del disco, è nata questa intervista, per capire meglio chi è Roberto e presentarlo al pubblico di Bravonline!
- Qual è il tuo primo ricordo musicale?
Le ninna nanne popolari che mi cantava mia madre. Sono un appassionato del genere; mi piacciono molto anche quelle andaluse. Per quanto riguarda la canzone d’autore, il primo ricordo è “E spingule francese”.
- Dopo quasi due mesi dall’uscita di “Con il mio nome”, come sta andando la promozione dell’album?
E’ difficile di questi tempi fare una buona promozione. Se non passi prima dalla tv, in questo paese, rischi di non esistere. Sto realizzando un lavoro che parte dal basso. Per il momento basterebbe un buon passaparola, se non altro tra gli addetti ai lavori.
- Qual è la canzone del disco alla quale sei più legato e perché?
Beh, è come chiedere a un papà a quale dei suoi figli vuole più bene. Lui ti risponderebbe: “A tutti, in maniera uguale.” Poi forse in fondo una qualche preferenza c’è. Se vuoi sapere la mia, ne sparo una: “Che fretta c’è”. Perché è nata nel mese di marzo ed è dolce come la primavera.
- Nel 1999 hai frequentato il Cet e nel 2003 hai vinto una borsa di studio sulla musica antica partenopea, collaborando con Detto Mariano; immagino che queste esperienze ti abbiano aiutato a crescere a livello artistico. In qualche modo ti hanno anche cambiato?
Quella del Cet è stata un’esperienza che mi ha aiutato molto a crescere professionalmente, dandomi la possibilità di confrontarmi con tantissimi musicisti. Ricordo con molto piacere quel periodo, soprattutto quello relativo alla borsa di studio sulla musica antica partenopea.
- Hai fatto parte di un gruppo nato al Cet, con il quale hai suonato sia in Italia che all’estero. C’è qualcosa che ti manca di quell’esperienza?
Assolutamente niente, tranne trovare il palco e i microfoni pronti per l’uso!
- Come sono nate le collaborazioni del disco?
Tutto è nato per caso. Un giorno contatto su un portale musicale Alessandro Hellmann, l’autore dei testi, il quale mi parla delle sue canzoni. Ci incontriamo a Roma, nel quartiere Testaccio, e lui mi lascia un suo disco. Una volta rientrato a casa, l’avrò ascoltato una decina di volte consecutive, rapito dalla bellezza dei suoi testi. E’ stato in quel momento che ho capito di aver trovato finalmente quelle parole che inseguivo da tempo. Alessandro è riuscito a rendere coscienti le mie idee dando loro una voce. Lo richiamo il giorno seguente e gli chiedo una collaborazione. Lui accetta benevolmente. Cominciamo quindi a scegliere i brani, a scriverli, a correggerli. Una volta terminato questo lavoro torno a Napoli, contatto l’arrangiatore del disco, Vincenzo De Martino, e cominciamo le registrazioni. Poi ritorno a Roma dove faccio l’editing e i missaggi con Eugenio Vatta e poi di nuovo a Napoli per realizzare il mastering nello studio di Bob Fix. Insomma, un anno di lavoro facendo il pendolare tra Napoli e Roma.
- Avere il suono dei Solis String Quartet ha aiutato?
Ha aiutato moltissimo. Collaborare con dei musicisti di tale bravura ti rende inevitabilmente la vita più facile. Arrivi in studio e canti.
- Come sono nate le canzoni con Hellmann? Dal testo hai creato la musica o dalla musica è nato il testo?
Alcune canzoni sono nate persino mentre eravamo al telefono. Mi è capitato spesso di chiamarlo durante uno dei miei viaggi in auto e canticchiargli una melodia e dopo nemmeno un’ora mi vedevo arrivare il suo sms con i versi che gli erano venuti in mente sulla melodia che gli avevo cantato. Fortunatamente non mi sono beccato ancora nessuna multa per tale infrazione. Ad ogni modo di regola accade questo: io gli invio le mie registrazioni amatoriali utilizzando per la melodia parole che non appartengono a nessuna lingua esistente al mondo e lui mi rimanda il testo in italiano.
- C’è qualche musicista, magari straniero, con il quale ti piacerebbe collaborare?
Molti, ma proprio molti. Collaborerei con tutti coloro che quando suonano esprimono una gioia di tipo infantile. Vedendola invece come la realizzazione di un sogno, direi James Taylor o Caetano Veloso.
- Dovendo dividere la tua vita in dischi, quali sono i tre che l’hanno principalmente segnata?
Da adolescente mi innamorai di “But Seriously” di Phil Collins; da ragazzo di “Buena vista social club”; e attualmente amo un classico del jazz: “Best of: Chet Baker sings”.
- Che musica ascolti in questo periodo?
Musica sinfonica, musica da film e il pop d’autore indipendente italiano.
- Sei sempre stato “attento” e “curioso”, musicalmente parlando. Dai cantautori italiani a quelli inglesi, dagli americani ai francesi, dal jazz alla bossanova per arrivare alla musica antica partenopea. Pensi di aver trovato una tua dimensione o continuerai nella ricerca?
Sono molto fedele negli affetti. Quindi se amo qualcosa la interiorizzo e non la lascio più. Tuttavia mi piace continuamente ricercare sonorità diverse. Ultimamente sono un curioso del sound mediorientale.
- Quali sono i progetti per il futuro?
La ricerca dell’equilibrio e della bellezza.
E si può dire che con questo disco, la ricerca della bellezza è iniziata piuttosto bene…
- Leggi la recensione e ascolta il disco qui
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