Nei mesi estivi Bravo ha avuto modo di recensire “Con il mio nome”, un interessante lavoro di Roberto Giordi, uscito come cd autoprodotto.
Complici i concerti, alcune recensioni positive e diverse partecipazioni a trasmissioni radiofoniche, in questi mesi Giordi è riuscito ad attirare l’attenzione degli addetti ai lavori.
Al punto che il cd è stato ristampato e, il 25 gennaio, sarà distribuito con una nuova veste grafica per conto della Odd Times Records / EGEA.
Un lieto fine meritato, come (purtroppo) non accade spesso nell’ambiente musicale.
Nell’augurare a Roberto una carriera densa di soddisfazioni, la redazione ha deciso di ripubblicare per l’occasione la recensione apparsa nel mese di luglio.
I dischi si possono dividere in tre categorie: quelli che si acquistano sulla fiducia (magari per via del nome conosciuto), quelli che si comprano dopo aver ascoltato qualche canzone e quelli che ti vengono a cercare.
I primi, esclusi i soliti noti, spesso sono un azzardo. In passato mi è capitato di acquistare sulla fiducia album che in seguito ho accantonato in un angolo.
Nel secondo caso, bisogna valutare da che parte arriva l’informazione. Se si tratta di un “consiglio” dei media tradizionali (radio e televisioni in primo luogo) quasi sempre sono soldi spesi male; al contrario, se si tratta di “notizie” trovate in alcuni spazi web, si rischia di scoprire qualcosa di bello.
E poi c’è il terzo caso. Quello che capita sempre più di rado, per quanto mi riguarda. Ci sono certi dischi che non restano fermi ad aspettare che sia tu ad andargli incontro. Non se ne stanno in bella mostra in qualche scaffale a riempirsi di polvere. Questi dischi ti puntano e decidono che li devi ascoltare.
Ripenso al ’98, quando in una calda estate del sud andai a uno di quei concerti jazz di piazza organizzati da un comune dell’Irpinia. Non sapevo chi cantasse, non ne conoscevo nemmeno il nome, ma già dalle prime note si sentiva che i musicisti erano bravi. Dopo tre giorni, mi arrivò un ep fra le mani. Fu così che incontrai, per la seconda volta, Sergio Cammariere.
Non è un caso che mi sia tornato in mente quell’episodio. Roberto Giordi (nome d’arte di Michelangelo Giordano) ricorda la freschezza e l’allegria di quel periodo, mio e di Cammariere (e a dire il vero, a me ricorda in qualcosa anche Carlo Fava, nonostante le esperienze e gli stili diversi). E come capitò a quel disco, anche il lavoro di Giordi è arrivato a me “per caso”, pochi giorni dopo il quattro giugno, data dell’uscita sul mercato discografico di “Con il mio nome” (e un po’ il titolo mi fa sorridere quando penso che alla fine Roberto Giordi è uno pseudonimo).
Nato in Campania, una terra artisticamente tanto ricca di ingegno e di talento quanto difficile per la qualità della vita, Roberto si avvicina alla musica con i cantautori italiani prima, e quelli inglesi poi. Curioso e appassionato, inizia uno studio personale (discografico e letterario) alla ricerca di un proprio stile, che potesse differenziarsi (e differenziarlo) da quello che ci circonda, che potesse permettergli di toccare la bellezza con mano. Avrà poi modo di studiare anche al Centro Europeo di Toscolano, la scuola di musica ideata da Mogol.
E fin dalle prime note di questo disco d’esordio, si può dire che la bellezza sia rimasta davvero impigliata tra le mani di Giordi. I testi delle canzoni sono firmati tutti da Alessandro Helleman, scrittore e autore teatrale (in passato ha vinto anche il Premio Guido Gozzano e il Premio Augusto Daolio come migliore autore), mentre le musiche sono di vari autori tra cui lo stesso Roberto Giordi (autore di quattro brani) e Fabrizio Gatti (di tre).
Uno dei punti di forza del disco si trova sicuramente negli arrangiamenti di Vincenzo e Fabio De Martino. Basta ascoltare “Le tue mani” e “A volte ritornano” nelle versioni incise da Helleman nel suo disco uscito due anni fa, per sentire come questa nuova veste sia loro più congeniale e e le renda più solari. Altro punto a favore del disco è di sicuro la voce di Roberto, che si presta perfettamente a tutte le canzoni dell’album, senza sforzi eccessivi e senza sbavature.
Il tema principale affrontato nei testi riguarda i sentimenti, ma non si disdegna un po’ di sana critica sociale, come in “Con il mio nome” (“chiamami con il mio nome / io non sono un consumatore / non sono un utente da soddisfare […] odio le canzoni per l’estate / decido io cosa voglio ascoltare / decido io dove voglio andare”), tipica di chi vive con un minimo di curiosità le cose che lo circondano.
Il disco si apre con “11 secondi”, strumentale (che ha per titolo la durata stessa del brano) ad opera dei Solis String Quartet, portati alla ribalta da Edoardo Bennato quasi quindici anni fa e di recente usciti con R-Evolution, disco di cover in collaborazione con altri artisti tra cui Franco Battiato e Ivano Fossati. E’ solo il preludio alla prima canzone dell’album, “Con il mio nome”, uno dei pezzi migliori del disco.
Poi arriva la dichiarazione romantica de “Le tue mani” (“sono belle le tue mani / belle quando scrivono il mio nome / scavano in silenzio le parole / e mi parlano di te”). Con questa canzone, Roberto Giordi lo scorso anno ha vinto il Premio Discanto e il Premio Fabrizio De Andrè come miglior testo. In entrambi i brani, il sottofondo di archi è del quartetto napoletano.
E’ poi la volta dei primi due brani in cui compare la firma di Roberto: “Il mago” e “Che fretta c’è”, dove le atmosfere smettono di strizzare l’occhio a swing e ritmi latini per passare alla canzone d’autore, rivelando le prime influenze giovanili di Giordi. Si prosegue poi con due brani firmati Hellmann-Gatti, “Tenerezza” (“è la tua tenerezza / che soffia prepotente / sul caldo della vita / sul dorso di ogni cosa”) e “Guardarti andare via”.
A questo punto, ci si imbatte in quella che a mio avviso è la sequenza migliore del disco. Quattro canzoni: dalla storia tormentata di “A volte ritornano” (“adesso che il mio nome è il nome su un portone […] tu arrivi all’improvviso come un’attrice sulla scena / cercando assoluzione per una vita intera”), al desiderio de “Il segreto” (“baciami, ora nessuno ci guarda / la notte non ricorda nulla di noi / baciami, prima che il cielo si accorga / nell’ombra siamo un’ombra che svanirà”) in cui Roberto duetta con Barbara Radi e Virginia Sorrentino. Poi è la volta de “L’allegria”, nel titolo e nella musica, per arrivare alla bellissima cover di “Vuelvo al Sur”, firmata Piazzolla e arrangiata e suonata dai Solis String Quartet.
Il disco è un ottimo esordio, con buoni compagni di viaggio e canzoni valide che, in alcuni casi, risultano arricchite dagli arrangiamenti e dall’interpretazione di Giordi. Mi auguro che il disco possa trovare l’unica cosa che forse manca: una buona promozione. Perché perdersi “Con il mio nome” è perdersi un po’ di quella bellezza che ancora esiste al mondo.
leggi l’intervista a Roberto Giordi qui
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