La parola torna centrale e lo fa anche misurandosi con un suono che alla ricerca chiede delle soluzioni che non siano soltanto estetiche. Anzi… questo primo lavoro di Federico Fiamma, musicista, autore e fonico abruzzese, è sospeso nell’acido delle sue parole, delle sue visioni, delle chitarre cantilentanti come anche delle distorsioni che anche dentro ritmi più sostenuti alla fine inducono alla quiete. “Fuori stagione” in fondo dal titolo ci sembra parli di una vita fuori dal coro… e che preziosa si fa la vita quando è l’individuo e non il format a percorrerla?
La parola in questo disco viene prima dell’estetica, dell’intonazione, dei perfettismi da vetrina. Per il cantautore Federico Fiamma viene prima il contenuto e poi la sua resa sociale o sbaglio?
Credo che la parola e la ricerca estetica, anche della parola stessa, vadano avanti di pari livello in quello che faccio, sicuramente la resa sociale non è di mio interesse cosa ben diversa per la qualità del costrutto musicale e lirico.
La musica è per me una grande possibilità, un mondo perfetto e misterioso di cui sono follemente appassionato; la mia grande passione è la ricerca della verità che spesso si nasconde anche ai miei stessi occhi senza che possa accettarla, spero sempre che questa riesca a servire la comunicazione al massimo livello possibile.
Per quanto riguarda la perfezione, invece, spero che nessuno di noi riesca mai a raggiungerla; sarebbe molto interessante capire a che livello arriveranno le AI in tal senso, avrebbe sicuramente molta più valenza estetica della finta perfezione che ci richiediamo ogni giorno, almeno ai miei occhi.
E questa voce sembra provenire da un lontano… si rende ascetica, quasi eterea… sembra un fantasma… un ricordo lontano… perché?
Nella mia visione della cosa (CHE RIMANE SICURAMENTE LA MENO IMPORTANTE!) la voce è a servizio della mia intimità, dei miei ricordi e delle mie emozioni.
Possediamo tutti molteplici timbri vocali, sono molti e differenti tra loro, vi invito a provare con la vostra stessa voce; io cerco di utilizzare i miei come espressione di quello che ricordo di aver sentito durante la scrittura, quando ero ancora immerso nelle emozioni del momento; cerco di immedesimarmi in quello che ero insomma.
Sono consapevole di aver ancora molte riflessioni da fare al riguardo e riconosco nella voce come strumento la potenza espressiva più grande che possa esistere; questo ha reso il tutto più difficile per Fuori stagione, non avendo una precisa idea da proporre, a posteriori è stata una fortuna, mi sono lasciato guidare totalmente da quello che sentivo ed il risultato è sembrato a tutti noi coerente.
E questo suono desertico spesso e volentieri?
La definizione “desertico” mi piace. Avevamo tutti in mente un suono crudo e grezzo, d’impatto e che potesse risultare vero per poter arrivare con tutta la semplicità del caso a chi volesse approfondire. Un albero verde è ben visibile in un deserto di sabbia quindi credo che possiamo ritenerci tutti soddisfatti di questa immagine.
Abbiamo avuto la fortuna di poter suonare su strumenti vintage come Hammond, Fender Rhodes, Wurlitzer e questa è stata una esperienza non da poco (grazie a Mauro, Alessandro e Davide per averci ospitato nel loro studio per incidere i brani) e sicuramente la scelta di non utilizzare strumenti che non avessimo a disposizione ha veicolato la nostra creatività verso approcci più rudimentali e grezzi “funzionali” al linguaggio.
Il disco si chiude con l’unico brano che in qualche modo risponde alla ricerca accaduta prima. L’equilibrio. Che importanza ha dunque il “Ventidue”? Ad un numero c’è sempre qualcosa di importante… o sbaglio?
Nella Smorfia il numero 22 è associato al matto. Nel periodo in cui stavo scrivendo i brani che avrebbero poi fatto parte del disco questo numero continuava (e continua tutt’ora) a ritornare frequente nelle più varie occasioni, sia nella mia vita che in quella di Daniel, amico fraterno e musicista eccezionale con il quale ho il piacere di condividere molto della mia vita. Questo palesarsi ossessivo di questo numero ha fatto nascere in me delle riflessioni inerenti l’accettazione personale in ogni singola parte, anche in quella più ossessiva e folle.
Ritorna spesso come figura in quasi tutti i brani per poi trovare uno scioglimento effettivo nella “morale” finale, quasi come fosse una fiaba.
E in qualche modo, scoprendovi dentro dei ricami indiani, asiatici in genere: esiste una ragione a tutto questo? È un caso oppure avete richiamato una qualche filosofia?
La storia dietro questi “ricami indiani” è interessante e cercherò di riassumerla in breve. Ero stato contattato da una insegnante di Yoga per microfonare le sue campane tibetane per una lezione online. Nel corso del nostro primo incontro abbiamo subito affrontato delle tematiche a me care e, uscito dal suo tempio privato (non so se io possa chiamarlo così), ho sentito una sensazione di pace che si è protratta in me per molto tempo.
Giuro che per caso, poco dopo, mi sono ritrovato solo con la mia chitarra in un’area di sosta nel parco nazionale vicino casa mia; questa esperienza di natura tibetana, l’accordatura aperta e l’aria estiva di montagna hanno fatto tutto il resto.
“Prolet” è il brano più sociale del disco. Anzi forse il più politico… possiamo dirlo apertamente?
La tematica alla base di “Prolet” è sicuramente una tematica sociale. Più che di politica credo si parli di buon senso. Non ho competenze e doti per poter affrontare un argomento così complesso nonostante abbia una idea al riguardo, credo che il mio sia più un appello a tutto il mondo affinché si possa cominciare a riflettere con maturità e rispetto su quello che ci circonda; il titolo infatti si deve a George Orwell da 1984 in particolare per il suo rilevare una possibile salvezza nel mondo dei prolet.
E per te che nasci e vivi tra le montagne, una copertina dedicata al mare significa proprio uscir fuori dalle proprie cose? Essere “Fuori stagione” appunto?
La copertina è una foto scattata in una località marittima teramana dove ho vissuto per quasi un anno mentre lavoravo al disco.
In un modo o nell’altro ero fuori dalle mie cose; mi sono ritrovato a vivere in un luogo che stava vivendo il normale periodo di invernale serenità.
Ho sentito da subito un forte legame di questo vissuto con il disco, nonostante mi fossi trasferito fuori stagione questo mi stava consentendo di fissare al meglio quello che avevo scritto, senza dovermi buttare ogni giorno nel caotico della vita di città; cadendo pian piano le barriere della comunicazione interna sono riuscito a capire meglio anche il mio stesso vissuto.
Per questo anche l’alba, per me è un disco di nascita e spero riesca ad arrivare con l’idea del grande impegno e della passione che tutti vi abbiamo impresso e con una grande semplicità e trasparenza.