Con questa lunga e interessante chiacchierata illuminiamo come merita un lavoro davvero molto interessante. Andiamo a ripescare alcune delle più belle pagine della canzone di Jula De Palma, un idolo di una fetta di storia del pop italiano, tra cinema e canzone… un idolo che torna sotto i riflettori con questo lavoro condotto da Franco Naddei e Sabrina Rocchi dal titolo “Ripensandoci” uscito in vinile e digitale per L’Amor Mio Non Muore di Roberto Villa. E puntiamo il dito su questo suono dalle soluzioni interessanti che tanto rispettano il passato e la storia e altrettanto celebrano il futuro.
Jula De Palma… quanti anni dopo? Partiamo da qui, partiamo da lei. Inevitabile non chiedervelo: perché Jula De Palma?
Il nome di Jula de Palma mi girava in testa da molto tempo. Me la fece scoprire Gino Corcelli nel periodo in cui lavoravo in radio (Radio Sabbia di Riccione) e durante le pause pranzo Gino mi ha raccontato molte cose di quel mondo che anche lui, da cantante crooner della scuderia di Gornji Kramer, ha vissuto. Quando spuntò il nome di Jula de Palma rimasi colpito innanzitutto dalla sua storia e bravura. Il famoso episodio della censura del brano “Tua” a Sanremo del ’59, che infine le diede un successo ancora più travolgente, è solo un tassello dentro il mondo di Jula che nella sua carriera non ha fatto sconti. Il fatto che venne censurata la sua performance vocale, più che il brano in sé che fu cantato anche da Tonina Torrielli che non ebbe questi problemi, è già l’inizio di una storia travolgente fatta di passione, dedizione, studio e modernità. Dato che non mi sarei mai sentito di affrontare vocalmente questo personaggio ho potuto cedere il microfono a Sabrina Rocchi, che è anche mia moglie, che nel momento in cui mi ha chiesto di ricominciare a cantare mi ha riacceso la lampadina e da lì abbiamo approfondito la storia del mondo di Jula e del suo repertorio.
Fare un disco per me è sempre un momento di studio e man mano che ci siamo addentrati dentro quella storia abbiamo capito che era giusto riportarla alla luce perché valida anche oggi.
Non cedere alla tentazione del conformismo, cercare sempre nuovi stimoli e, soprattutto, incentivare gli incontri che arricchiscono sono concetti ancora validi e moderni soprattutto oggi dove percepisco il proliferare di musica fatta a distanza, conforme nella sua presunta stranezza, conforme al mercato, alle view, ai like, al già sentito.
Diciamo che al di là delle canzoni, peraltro scritte benissimo, ci siamo appassionati alle storie che c’erano dietro, al modo in cui sono nate, all’attenzione ed alla cura con cui veniva creata musica che potesse essere per tutti senza rinunciare alla qualità.
Un modello che sempre tenuto a mente.
Un disco che troviamo anche in vinile… digitale e vinile. Due fronti distanti anni luce. Una scelta precisa, ha a che fare con quel “ripensandoci” del disco?
In questo momento vediamo un ritorno del vinile e il disco in realtà è stato pensato principalmente per questo supporto come da tradizione de “L’amor mio non muore – dischi”. Ovviamente non si può più prescindere dalla circolazione digitale che almeno estende la platea di potenziali ascoltatori anche fra i più giovani.
È una procedura per ora piuttosto standard anche se fatico a non possedere fisicamente la musica che mi piace, anche solo il file fisico oltre che un bel vinile da toccare, aprire ed annusare.
E poi bello questo titolo che fotografa proprio questo ripensare al tempo, alle sue canzoni, al suo modo di stare al mondo. Bello questo tempo che torna… anacronistico questo disco?
Il titolo ci è apparso nel momento in cui volevamo una parola singola e possibilmente estratta dal testo di una canzone. Io e Sabrina abbiamo lavorato molto per cercare un equilibrio e non farci spaventare dal confronto e dal troppo pensare. In effetti molti sono stati i ripensamenti; arrangiamenti buttati, take di voce rifatti fino allo sfinimento per il puro gusto di cantare e per la ricerca di qualcosa che ci piacesse ed emozionasse.
Le incertezze e la fragilità con cui abbiamo lavorato, considerato anche il delirante periodo degli anni appena trascorsi, ci hanno lasciato addosso questo concetto del ripensamento come valore a cui fare attenzione. Le sessioni digitali riparabili all’infinito sono il segno con cui la musica moderna si confronta, e conforta, con il concetto fallimentare di perfezione. La stessa Jula racconta, nel suo libro autobiografico, di come non fosse mai soddisfatta pienamente delle sue performance vocali nei dischi che venivano registrati spesso tra una tournée e l’altra, negli incastri dei viaggi per il mondo, tra un programma televisivo e uno radiofonico. E tutto questo processo portava a fare sempre meglio, a guardare avanti.
Anche per questo ho voluto mixare in analogico perché il mix fosse il frutto di quel momento, con la concentrazione al massimo e col massimo rispetto del lavoro intorno alla produzione di un disco che non volevo relegare ai ritagli di tempo come spesso vedo fare oggi per mille comprensibili motivi. In analogico quando il mix è chiuso indietro non si torna.
Forse è questa la cosa più anacronistica che di fatto non mi spaventa più.
Dall’altra parte più che ripensare al passato abbiamo cercato di riscoprirlo e reinterpretarlo non solo dal lato musicale osservando anche quello umano di chi nella musica cerca stimoli ed emozioni che non hanno tempo.
Trovo che, al di là delle doverose differenze tra quel passato ed il nostro presente, la musica e gli artisti che la scrivono e producono debbano sempre tenere a mente la lezione di quegli anni fatti si di altri numeri in termini di vendite, ma anche di un grande rispetto per il pubblico al quale venivano offerte canzoni di qualità e che non veniva lasciato solo a decidere cosa fosse bello o brutto offrendogli una scelta di canzoni, di autori ed interpreti che nella media erano sempre ad un livello difficilmente paragonabile a quello che abbiamo oggi.
E poi imparare dal passato ce lo insegnano a scuola fin da piccoli anche se, a tutti i livelli, pare che sia difficile da mettere in pratica.
La cosa incredibile è questa capacità di dare al passato un leggerissimo velo di futuro. Non so se siete d’accordo su questo… se si, come l’avete realizzato? Oppure è venuto da se?
Sono felice che questa cosa sia venuta fuori spesso nelle interviste. Personalmente sono abbastanza istintivo e mi lascio guidare dalle canzoni, dalle parole, dalle atmosfere che evocano e soprattutto dai limiti.
Sapevo da subito che non avrei mai potuto restituire lo stesso respira delle big band e delle orchestre, nonché dei maestri che le dirigevano come Lelio Luttazzi, Gianni Ferrio, Giampiero Boneschi, per cui ho cominciato a smontare gli arrangiamenti originali e nel rimontarli ho cercato di portarli dentro un territorio che potevo abitare con familiarità.
Un po’ come smontare un mobile e rimontarlo senza seguire le istruzioni: o è tutto storto oppure è diverso dal previsto ma con una sua bellezza inaspettata. Per me è stata un pò una scommessa oltre che un bel momento di studio dentro un mondo ed un repertorio che non avevo mai considerato con attenzione.
Ed infine L’Amor Mio Non Muore che penso sia la chiave di un certo suono analogico. Il luogo ha contribuito al disco oppure tutto è stato concepito fuori da quelle mura?
Sono parte integrante dell’Amor mio non muore da ormai qualche anno. La scrittura di un lavoro così complesso è stata fatta buona parte a casa o addirittura in giro nei viaggi. Sapevo da subito che avrei voluto affidare il mix a Roberto Villa (il fondatore, insieme ad Alberto Bazzoli, di quel luogo magico) con cui c’è un rapporto di grande stima e scambio reciproco che credo ci abbia arricchito e che portiamo avanti con soddisfazione e fatica. Non sempre due fonici e produttori si trovano. Io e Roberto lavoriamo in grande sintonia e dato il lungo percorso, a tratti ad ostacoli, la modalità analogica era necessaria per stabilire un sound che potesse essere contemporaneamente un pò vintage e un po’ futuribile.
Nei brani ci sono sezioni di fiati, di archi, batterie e percussioni, chitarre, contrabbassi che abbiamo registrato in studio. Nel concept del ripensarci ho voluto collaudare tutto prima di arrivare al mix finale per poter passare poi sul nostro 24 piste a nastro che ci ha davvero semplificato la vita. Il brano con più tracce ne ha 20, cosa che ci ha fatto decisamente bene considerato che nelle sessioni digitali spesso arriviamo ad una quantità di tracce che talvolta distraggono dal senso delle scelte sul suono generale.
Del resto il motto dello studio è “Fuck digital”, un po’ provocatorio ma ha ancora più senso se lo si legge come un consiglio a non lasciarsi fregare troppo dalle possibilità del digitale che è si comodo ma a volte distrae.
Molte volte mi capita di vedere gli artisti che guardano il monitor mentre ascoltano la loro musica e credo che questo modo di ascoltare la musica con gli occhi sia un po’ forviante. Va bene per certe fasi ma a un certo punto ho bisogno di ascoltare la mia musica con la pancia, le orecchie e il cuore.