Liquido, introspettivo, sospeso e a suo modo anche epico di rimandi letterari, mitologici e psicologici. Il tutto in una dimensione appena più indie, più rock… “Il leone verde” è un disco che si rende davvero interessante in quell’atto sacrale dentro cui l’estetica del suono rock e digitale ricercata da un producer come Franco Naddei si mescola con la produzione analogica de L’Amor Mio Non Muore (e non a caso questo disco lo troviamo anche in vinile) e su tutto, a corredo, si mescola con la visionarietà di un cantautore come Riccardo Morandini. Forme interessanti per una canzone d’autore che avremmo atteso più in linea con “Eden” e invece ha saputo stupire tutti…
La canzone d’autore sposta diverse direzioni. Partiamo dal compito che ha la spiritualità dentro le trame di questo disco. L’uomo e il suo ego…
Il Leone Verde rappresentato nell’atto di divorare il sole, è il simbolo alchemico del vetriolo: un solvente in grado di fondere anche il metallo più tenace (l’oro simboleggiato dal sole). Nell’interpretazione psicanalitica dei processi alchemici, ciò può voler dire ammorbidire gli aspetti più duri dell’Ego. È questo infatti il filo conduttore che attraversa il disco.
“Immagine”, la prima traccia, funge da preludio, presentando il vivere per l’immagine di sé, per le identificazioni, nello specchio di Narciso. Gli altri brani invece suggeriscono degli stratagemmi per evadere da questa prigione egoistica. E quindi la solidarietà e il rivolgersi al prossimo (“Unione”), l’ebbrezza (“Menade”), l’amore (“Farfalle e candele”), la spiritualità (“Candida rosa”) l’arte (“Sole dei sensi”), la natura (“Luce sulla collina”) sono i balsami che ci aiutano a rendere più tollerabile il peso dell’Io.
E poi l’elettronica che a differenza di “Eden”, probabilmente, lascia un posto di maggiore importanza all’indie rock di inizio millennio. Cosa ne pensi?
In “Eden” c’era un’intenzione compositiva nostalgica, ho scritto della musica che mi riportava ad alcuni ascolti della mia adolescenza. Con “Il Leone verde” volevo fare qualcosa di più raffinato dal punto di vista sonoro, anche per questo mi sono rivolto a Franco Naddei. Gli inserti “elettronici” partono sia da una mia personale ricerca e curiosità verso l’elaborazione del suono, sia dalla volontà di attualizzare il sound del disco.
L’uomo torna al centro di tutto? Per te è sempre stato un punto fermo… o sbaglio?
Si, se in “Eden” l’uomo era analizzato più in relazione al suo essere in società, nel Leone Verde l’indagine si fa più introspettiva, è un disco più introverso in questo senso. Non capisco bene cosa intendi con l’uomo al centro di tutto (un’attitudine rinascimentale?), ma posso dire che nei miei testi ricorrono spesso l’autoanalisi e la ricerca di un’evoluzione di sé, il buon vecchio “conosci te stesso” socratico insomma.
E poi il barocco anche è uno stile che ti ha contraddistinto. E anche qui, probabilmente, si è un poco fatto da parte…
Il barocco inteso in senso letterale come musica barocca (clavicembali, un certo tipo di armonie e melodie affidate agli archi) effettivamente è meno presente che in Eden. E’ invece anche questo un disco piuttosto barocco se utilizziamo tale parola per descrivere la densità degli arrangiamenti e della scrittura, come contrario di minimalismo.
Franco Naddei in questo disco come produzione artistica (assieme a te). Cosa ti ha lasciato raggiungere e cosa ha rivoluzionato?
Lavorare con Franco è stato molto divertente e stimolante. Conosce bene l’Amor mio non muore e lo studio è stato utilizzato in maniera giocosa e creativa, diventando un ulteriore strumento musicale. Ha anche suggerito interessanti spunti sull’arrangiamento e la struttura di alcuni brani, che ne hanno giovato in respiro ed equilibrio formale. Confrontarmi con Franco mi ha fatto crescere dal punto di vista della consapevolezza timbrica e della capacità di elaborare il suono e mi ha incoraggiato ad approfondire il lavoro in tale direzione.