Di lui faremo sempre un riferimento importante alla chitarra acustica, a quel certo modo di dare carattere alle corde di metallo, al suono che non è poi tanto pulito e neanche pop… ma si sporca di quell’America bit, di strade lunghe e di uno storytelling che delle volte sembra francese e delle altre è ovviamente romano, sempre quello, di quella scuola li che conosciamo tutti.
Andrea Tarquini, che nella sua grande carriera è stato anche il chitarrista di Stefano Rosso, pubblica il suo nuovo disco dal titolo “In fondo al ‘900” e penso che tra tutte queste nuove canzoni proprio “Uve al sole” o la chiusa “Adíos Amigos” sembra celebrare a pieno quel velato senso di ruggine che colora i bordi della sua scrittura, lasciando libero Andrea e il suo modo di pensare alla musica, arricchendola anche di direzioni sghembe nel risolvere le cose. E ci piace e non poco…
“In fondo al ‘900” ci permette di ritrovare anche quei nomi che ci piace coccolare dentro una ascolto simile, da Paolo Giovenchi a Primiano Di Biase, da Federico Sirianni, come anche alle citazioni de gregoriane o a tutte quelle volute che rimandano al classicismo romano.
E se volessi avventurarmi a dir quello che poco ho gradito (si fa per dire, ma lasciatemi fare il pignolo inutile) allora dico che mi piace poco quel senso tagliente di alte frequenze che troviamo nelle chitarre, nella cassa di batteria, in certi arrangiamenti… lo avrei voluto un disco decisamente più caldo e “rotondo” anche in funzione di una timbrica vocale che certamente vive su quelle frequenze medio alte. Avrei voluto un po’ più di modernità invece di un disco che troppo spesso spazzola atmosfere alla Fabio Concato (Milano impera dunque) degli anni ’90. Ma poi…
Da subito le slide e quegli accordi in settimana di “Cantautori indipendenti” mi riporta quel gusto che desideravo trovare accanto al nome di Andrea Tarquini… e il caldo della voce di Sirianni certamente fa la parte sua trasportando anche la narrazione dentro importanti scaffali di libri. E il blues in modalità funk/reggae de “L’amore in frigo” con una strofa decisamente fortissima un poco si appanna nell’inciso troppo “in maggiore” che quasi diluisce in maniera pop tutta la grinta di prima. E poi sottolineo anche questo pianoforte ancora de gregoriano (forse anche troppo figlio di Lennon) nell’incipit quando si annuncia un brano decisamente alto come quello che da il titolo al disco… bellissime le figure retoriche ma queste soluzioni di pianoforte forse devono troppo a stilemi classici a grandi cose già conosciute. Sono questi i momenti in cui avrei preferito una maggiore ricerca nella scrittura invece che affidarsi a soluzioni ampiamente sdoganate…
E poi la ballata western di “Pioggia d’estate” con un bellissimo violino a corredo dentro il parco di soluzioni ad adornare un brano ricco di aria e di quel focolare di casa… nonostante le tematiche portino altrove ovviamente…
Ovviamente c’è tanto altro dentro il nuovo disco di Andrea Tarquini, un nome prezioso per i palati più fini del dovuto e forse, partendo da pregiudizi di merito di questo genere, ribadisco che avremmo preteso molto di più dal suo lavoro che, a parte le tante piccole cose che potremmo segnalare, lo ritengo maturo e ricco di consapevolezza. E dunque a forza di mangiar bene che iniziamo a predicar altrettanto bene di dettagli forse ininfluenti. “In fondo al ‘900” sembra diventare un manifesto situazionista in un’epoca che sta cambiando troppo velocemente. E un disco simile, per parafrasare la sua verità, rischia davvero di essere un disco per soli adulti… troppo pochi e poco influencer.
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