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Carlo Fava – L’uomo flessibile

Il Festival di Sanremo, come spesso accade, ci indica gli artisti da seguire. No, non è una follia. Chi si ricorda del cantante che si piazzò penultimo – proprio come Vasco Rossi in un’altra edizione – nella sezione giovani dell’edizione del 1993? C’è da scommettere che chi non sfonda a Sanremo, sfonda nella musica. Quel cantante sarebbe diventato, infatti, una delle più interessanti novità del “cantautorato”, un ispiratissimo giovane erede della tagliente e caparbia scuola milanese. Carlo Fava pubblica il suo terzo lavoro: uno sguardo crudo sulla società odierna, dove velocità e “notizie” che “camminano in fila” la fanno da padrone, colorato però di ironia e amorevole critica che gli donano un’evidente solarità, a dispetto del bianco e nero delle foto del booklet. Da un lato le musiche, dall’altro i testi, che sfociano in un mare pulito e armonioso, calmo o agitato a seconda dei contenuti. Con i dovuti ringraziamenti a Beppe Quirici (storico collaboratore di Gaber e Fossati) che cura la direzione e gli arrangiamenti del disco, circondando sapientemente il pianoforte preponderante, suonato dallo stesso Fava. E ringraziamenti anche al coautore dei testi: Gianluca Martinelli. La volontà dell’artista pare quella di scuotere gli animi di chi ascolta, per salvarci dal non pensiero, dai “tempi dell’immateriale”, dove persino “l’amore (..) può fare a meno delle vecchie parole”, come dice in “Se fossi il futuro”. Con amarezza o anche con un divertimento vago – come ne “La malavita non è più” -, con il canto propriamente detto o con modulazioni di voce e recitativo (in cui Fava mostra le sue doti di attore, avendo studiato arte drammatica con Richard Gordon). Forse riduttivo, ma sicuramente incontestabile, affermare che sia l’erede di Giorgio Gaber – di cui, nei suoi tour, continua anche la forma del teatro-canzone -, che è dichiaratamente scimmiottato in un bellissimo blues, intitolato “L’Italia non legge”: la voce parlante critica l’Italia che “non legge il giornale / figuriamoci un libro / al limite un settimanale”, finché è risucchiato dal vortice e, abbandonando Aristotele e Montale, decide di seguire una telepromozione. C’è però anche della comicità pura e senza pretese, come in “Cofani e portiere”, un divertissment sulla vita dell’artista e del pensatore. Le vette più alte sono, però, raggiunte da due brani: “La palude” – il preferito di Fava -, una riflessione ermetica sulla stagnante giustizia italiana (con un riferimento anche al caso Sofri) e, soprattutto, “Sotto il quadro di Chaplin”, una canzone intimista su una complicata storia d’amore in una Milano calda e nervosa, ornata di versi sognanti – come “le parole dei poeti / oltre a farci innamorare / sono quasi sempre belle / sono quasi sempre vere”. Un artista in crescita, che ne sa molto di più del personaggio – egoista e cinico – della canzone che dà il titolo all’album: “L’uomo flessibile”, convinto di sapere tutto e che, invece, non sa niente. Probabilmente, come l’uomo di oggi, catturato abilmente in più istantanee da Carlo Fava.

Biografia di Antonio Piccolo

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