D’istinto ci arrivano ombre di un Battiato sempre intento a ricamare filosofie dentro la vita dell’uomo e del suo eterno peregrinare. Un terzo disco dentro le nuove consapevolezze di Luigi Maresca e Mirko Ravaioli. Sono i FermoImmagine e questo che mettiamo sotto i fari è “Io volai”, terzo album di inediti dentro cui rintracciamo anche ospiti quali Delenda Noia, la cantante Gioia Gurioli, la pianista Silvia Valtieri, il chitarrista classico Andrea Cavina, gli autori di testi Luca Barachetti e Roverto Laghi. Un omaggio anche ai La Crus con “Come ogni volta” e poi questa scelta lirica di morbidezze digitali che fanno non sono un ponte verso il futuro ma tacite contemplazioni in questo tempo nuovo che stiamo vivendo. La lirica torna dentro la canzone d’autore che si evolve. La parola ha un peso di determinante responsabilità anche quando appare leggero come ali di farfalla…
La parola torna protagonista. Un disco di parole importanti, scelte con cui. Che rapporto avete con la parola?
Le parole sono molto importanti, almeno per noi lo sono sicuramente.
Quando compongo una canzone lo faccio perché ho qualcosa da dire e raccontare, lo faccio in maniera piuttosto diretta e semplice. Non amo scrivere testi criptici o da interpretare: penso siano piuttosto chiari. In generale uso molte parole, e per il mio modo di cantare va benissimo così.
Le nostre canzoni sono da ascoltare bene, con calma: il testo ha la precedenza sulla musica che arriva di conseguenza.
Ci sono canzoni che cercano anche forme lessicali poco quotidiane, molti rimandi a quel certo lirismo alla Battiato e forse su tutti cito il brano “Frontiere distratte”. Esiste una citazione in quella direzione o comunque una intenzione di restituire alla lirica un carattere poco quotidiano?
Il testo di “Frontiere distratte” è di Roberto Laghi, un mio caro amico. Anche se non l’ho realizzato io si avvicina molto al mio stile di scrittura. Non credo ci sia stato da parte sua la chiara volontà di richiamare Battiato: semplicemente avevo chiesto a Roberto di scrivere qualcosa sul suo viaggio che iniziò dai Balcani e finì in medio oriente e Cina, un lungo itinerario percorso per mesi quasi esclusivamente in bicicletta. Il fatto di parlare di quelle zone del mondo fanno tornare alla mente alcune cose composte dal grande Battiato. Il raccontare delle storie è una mia priorità, è quello che so fare meglio: che sia poco quotidiano oppure no questo non saprei dirlo, a me viene naturale così.
Elettronica che qui cerca soluzioni melodiche davvero poco “pop”. Fare un errore se dicessi che tanto di questo suono richiama i fasti di una certa New Wave?
No, non è un errore il richiamo a certa new wave anni 80. Le nostre radici sono anche lì ma non solo, e comunque deve essere chiara una cosa: non ci interessa riproporre lo stesso sound di allora, non avrebbe alcun senso, risulterebbe vecchio e sorpassato. Sicuramente ci interessa esprimere un suono che ha quelle origini ma che nello stesso tempo sia più contemporaneo.
I richiami sono quelli e si sentono, ma non siamo la coverband di un gruppo anni 80.
“Io volai” cosa vuole rappresentare? Penso al brano “Nella stasi” e lego le due cose… un concetto che torna per tutto il disco in fondo…
“Io volai” è l’anagramma di “Io Viola” il nome della mia primogenita che purtroppo ci ha abbandonato prima che potesse nascere. Questo disco è dedicato a lei ed anche a sua sorella, la secondogenita. Come ho già detto in altre occasioni questo è un lavoro estremamente autobiografico e quindi doloroso. Titoli come “Io volai” e “nella stasi” sono facce della stessa medaglia: da una parte la voglia di prendere il volo, evadere, sentirsi libero; dall’altra una sensazione di costrizione, un blocco creativo, una prigione mentale, una incapacità ad esprimersi come si vorrebbe…
E pescando dall’immagine di copertina: perché questa allegorie di farfalle?
Se ti riferisci all’immagine dei due colibrì allora è piuttosto semplice da spiegare: questa copertina è tratta da un quadro di mia moglie, anch’esso dedicato alle nostre due figlie e quindi perfetta per questo disco. Due creature così piccole e fragili in cerca di cibo che potrebbero rappresentare la ricerca di qualcosa di importante, la ricerca di se stessi.
Rappresentano anche le mie due figlie, e possono rappresentare i FermoImmagine: siamo stati praticamente sempre e solo in due. E poi due colibrì in volo si sposano benissimo con un titolo come “io volai”…
E poi ovviamente spendiamo due righe per il video ufficiale che troviamo in rete. Perché un “cinema muto” del passato? Uno stile che in prima battuta sembra sposarsi poco con il suono del disco…
Trovo invece che il video del singolo “nella stasi” sia perfetto per questa canzone: è straniante, con immagini assurde, lontanissime nel tempo, anche inquietanti che ti inchiodano davanti allo schermo.
È un modo diverso ma non troppo lontano per esprimere gli stessi concetti di “nella stasi”: una situazione straniante, che ti blocca e che ti lascia in un circolo vizioso. Un’incapacità creativa, frustrante. La fascinazione per i film muti mi è venuta durante uno dei primi concerti dei FermoImmagine: eravamo al Valtorto di Ravenna, era il 2005 e mentre suonavamo proiettavano immagini di “Metropolis”, un pellicola del 1927, un capolavoro assoluto che ha ispirato tutto l’immaginario della fantascienza. Erano immagini strane, così lontane eppure così affascinanti.
Avevo il desiderio di realizzare un video utilizzando questo tipo di materiale, e Daniele Pezzi (che ringrazio moltissimo per l’ottimo lavoro svolto) ha elaborato un montaggio perfetto.