Un disco d’esordio che porta un titolo che diviene anche il moniker di questa band di veterani, nei suoni e nel mestiere. La canzone d’autore incontra il rock e porta in scena quel gusto agrodolce di pop e di mistura main stream. Sono i Magazzino San Salvario che ci regalano questo esordio ricco di belle collaborazioni pescate dentro la bella scena torinese non ultimo la firma d’autore di Federico Sirianni dentro un brano scanzonato e allegorico come “Europa chiama Italia”. Non manca la critica sociale e neanche quel certo gusto romantico per un tempo che ormai lascia il posto agli automatismi.
Celebriamo la canzone d’autore e le sue derive rock. Com’è nato questo disco, anzi da dove… anzi in quale tempo, viste le continue rivoluzioni?
Direi che la definizione “canzone d’autore con derive rock” riassume perfettamente le due direttrici su cui si muove la musica dei MAGAZZINO SAN SALVARIO. Da un lato c’è il rock; musicalmente noi siamo figli degli anni Novanta, e dunque nei nostri pezzi puoi cogliere le tipiche sonorità graffianti di quel periodo, dal grunge al britpop, seppure opportunamente rivisitate. Poi però c’è la parte autorale legata ai testi, e qui il riferimento va ovviamente alla grande tradizione del cantautorato italiano. Tornando alla tua domanda, questo disco nasce essenzialmente da una forte e improvvisa ondata creativa da cui sono stato “travolto” circa un paio di anni fa. Scrivo musica e testi da tutta la vita, ma evidentemente alcuni recenti accadimenti personali hanno innescato in me un periodo particolarmente florido. Ho sentito poi l’esigenza di condividere tutto questo con alcuni amici musicisti fidati, tra i quali mio fratello, ed ecco che così a partire dal 2020 nascono i MAGAZZINO SAN SALVARIO, un progetto nuovo ma che in realtà reca in sé forti legami con il passato.
E dentro queste nuove normalità digitali, la vostra musica come decide di sposare i linguaggi che sembrano diventare assurdi?
La musica, come tutte le forme d’arte è in continua evoluzione. Trovo del tutto naturale che ad ogni periodo storico ed ad ogni decennio, corrispondano nuovi linguaggi e nuove modalità di produzione e di fruizione. Credo che però queste, al pari delle mode, rappresentino solo l’aspetto esteriore della musica. Alla fine per fortuna ciò che conta sono sempre e solo le idee. Per giudicare una brano bisogna sbucciarlo come una cipolla e togliere tutto ciò che è superfluo. Se alla fine è rimasta una linea melodica interessante ed un testo che ti emoziona, allora sei di fronte ad una bella canzone, in caso contrario era solo fumo negli occhi e sovrapproduzione. Questo è esattamente il ragionamento che cerchiamo di applicare alla nostra musica: tornare all’essenza stessa della “forma canzone” senza troppi fronzoli, ma senza tuttavia chiuderci su posizioni anacronistiche o rifiutando a priori le nuove tecnologie, che al contrario vanno sfruttate.
Con voi anche un maestro della canzone d’autore: Federico Sirianni. Sembra un poco di vederlo snaturato dalla sua comfort zone. Come avete combinato questo cocktail peraltro in una delle canzoni meno cantautorali del disco?
Con Federico siamo amici da più di vent’anni. Da giovani io e lui abbiamo anche lavorato insieme per un service editoriale torinese per il quale scrivevamo di tutto, dalle pubblicità per le grandi aziende fino alle voci di storia dell’arte e letteratura per le più prestigiose enciclopedia italiane. Considero Federico uno dei migliori cantautori del panorama italiano. Circa un anno fa, nel corso di un evento nel quale abbiamo suonato insieme Lui ha sentito il brano “Europa chiama Italia” e se n’è subito innamorato; ne ha colto lo spirito ironico con cui mettiamo in ridicolo quel tipico provincialismo dell’italiano medio nel porsi di fronte al Mondo. Quando abbiamo iniziato a registrare il disco, è stato quasi naturale chiedergli di fare un featuring con noi. Trovo davvero magnifico l’effetto straniante che produce la presenza di un artista del suo peso in un pezzo, almeno in apparenza, leggero e scanzonato.
Si torna a fare critica sociale? Secondo voi serve ancora la musica a questo scopo?
Assolutamente sì!!! Penso che uno dei compiti fondamentali di chi scrive canzoni sia anche quello di raccontare il Mondo che lo circonda e la società in cui si vive, magari stigmatizzandone i difetti per stimolare nel pubblico una riflessione. Talvolta lo facciamo in modo duro e diretto, altre volte invece per raggiungere questo scopo facciamo largo uso dell’ironia. Per dire cose serie, non bisogna per forza essere seriosi. Non a caso, nella nostra formazione musicale è stata fondamentale anche la lezione di alcuni grandi cantautori italiani, da Bennato a Rino Gaetano, passando da Gaber a Jannacci, giusto per citarne alcuni, che hanno fatto dell’umorismo (nel senso pirandelliano del termine) un’arma tagliente con la quale affrontare anche argomenti e tematiche molto importanti.
Perché tanto dovete al passato, anche dentro le liriche… il futuro secondo voi com’è o come sarà?
Dovessimo fermarci alle apparenze la previsione per il Futuro non potrebbe che essere negativa. Viviamo in una società ormai al collasso in cui la povertà aumenta e i diritti civili e sociali di base cominciano ad essere messi in discussione. La situazione globale, tra guerra, pandemia, crisi economica e global warming è a dir poco drammatica, e anche guardando in casa nostra, la recente deriva politica a cui stiamo assistendo non può che preoccuparmi. Ho tre figli piccoli e non posso che essere preoccupato per il loro futuro. Eppure sono un inguaribile ottimista, soprattutto ho molta fiducia nelle nuove generazioni. Oltre che il musicista, nella vita ho la fortuna di fare anche il Prof. e vedo i ragazzi tutti i giorni a Scuola. Dobbiamo lasciare a loro molto più spazio e responsabilità, anche perché la nostra generazione ha chiaramente fallito e quindi si deve mettere da parte senza fare altri danni. I giovani avranno anche i loro difetti, stanno troppo al cellulare e ascoltano musica di merda, ma hanno anche risorse insospettabili ed il futuro è dalla loro parte.