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Folkatomik: la grande tradizione italiana nel suono del futuro

Esce “Polaris”, l’esordio dei Folkatomik. Strumenti e liriche della tradizione antica nel suono digitale

Franco Montanaro, Oreste Forestieri, Valeria Quarta e il famoso chitarrista e producer Li Bassi sono il DNA portante dei Folkatomik. La commistione che nasce dal nord e punta dritto alle strade antiche del sud, storie di mare e di contadini, storie di viaggiatori e di pastori… storie di un’Italia di carrettieri di prima della guerra… e dalla loro la geniale capacità di far dialogare quelle scritture e quei precisi suoni e strumenti con il tempo presente e quello futuro, con i suoni digitali, con i nuovi mezzi fatti di computer e programmazioni. Dunque “Polaris” è un disco senza tempo… un progetto davvero molto interessante dove il passato dei canti tramandati a voce trova il futuro dei suoni liquidi senza frontiere.

Noi affrontiamo da vicino il peso della parola. Progetti come “Polaris” si scontrano tantissimo con la violenza che un poco esercitano sull’origine dei brani e sui loro significati. Ad esempio liriche che trattano di carretti e transumanze con quale coerenza e con quale significato sposano poi strumenti del futuro assai lontani da loro?
Innanzitutto grazie per la bella domanda. È una domanda che meriterebbe ore di discussione ma cercheremo di sintetizzare. Partiamo dalla “parola” dalle liriche. Personalmente penso che le liriche possano essere immortali e sempre attuali quando esse contengono messaggi universali e vicende umane. Lì dove le disparità sociali attraversano secoli e generazioni lo fa anche il canto, che in alcuni casi, diventa l’unica resistenza e forma d’espressione dell’oppresso.
La sopravvivenza di questo ciclo sta nel fatto che queste forme si rinnovano, si adattano e si plasmano al tempo che percorrono. Il dialetto ha la forza della sintesi, è sopravvissuto perché si è modificato in ogni epoca che ha percorso, si è arricchito di alcuni termini ed impoverito di altri… ma è sopravvissuto. Ed è per questo che amiamo usarlo, così come le immagini e le molteplici chiavi di lettura che offrono le liriche tradizionali.
Ad esempio, in “Tirullallero” terza traccia del disco, abbiamo due amici, l’uno più sventurato dell’altro, il testo della canzone è la risposta di uno dei due alla domanda di aiuto dell’altro. Per capire la capacità di sintesi e la forza visiva del dialetto analizziamo l’ultima strofa di questo testo, dice: “ch’aiutu te po’ dàri na furmica quannu ti truovi avanti a nu dirupu?”. Letteralmente tradotto “che aiuto può darti una formica quando ti trovi davanti a un dirupo?” …In questa frase c’è un’immagine che sintetizza tutto il discorso che era avvenuto precedentemente tra i due: la formica, troppo piccola e fragile, nonostante abbia la forza di portare cinquanta volte il suo peso corporeo non può comunque evitare l’inevitabile caduta dell’altro che ormai è sul ciglio del baratro. C’è una forza poetica in questo testo che trascende tempo e contesto, che può fare riflettere (soprattutto) anche oggi e che offre diverse chiavi di lettura e spunti di riflessione. Potenza del dialetto.
Per quanto riguarda le “contaminazioni” musicali che usiamo su queste liriche, ti dirò che a volte le utilizziamo proprio per caricare quelle liriche o in altri casi per svincolarli da un contesto troppo stretto e specifico.
Sempre nel “Tirullallero” ad esempio, abbiamo voluto “caricare” la lirica anche di sonorità greche usando un bouzouki che richiama ai suoni della “Katastrophi dell’Asia Minore” la cacciata dei greci di Turchia del ’22, la diaspora da cui nacque il rebetiko. Storie di altri sventurati che non vennero aiutati da altri sventurati perché -come la formica- erano troppo piccoli per trattenere un elefante sul ciglio di un baratro.
Per quanto riguarda invece i “suoni del futuro” non pensiamo siano molto lontani da quei contesti. Seguiamo un’estetica ben precisa fatta di punti cardini ben saldi e che ormai caratterizzano il nostro linguaggio. La trance, la catarsi, la ciclicità ritmica, sono tutti elementi che appartengono alle musiche del Sud dal quale abbiamo attinto, e l’elettronica le restituisce irrobustite, ringiovanite e fruibili. In buona sostanza cambia la forma ma non il contenuto.
(Forestieri)

E in generale avete anche voi dovuto confrontarvi con i “puristi” del genere che in qualche modo condannano queste rivisitazioni?
Tre quarti del nostro ensemble provengono da quel mondo, quello dei cosiddetti “puristi”. Almeno io devo ammetterlo, lo sono stato… Abbiamo le spalle larghe in questo senso. Abbiamo comunque avuto il piacere di confrontarci con (per citarti) i “puristi”… amici, danzatori e suonatori tradizionali, studiosi. E devo dire che i pareri sono stati a volte illuminanti: tanti sono entusiasti (o almeno fingono di esserlo :-)). Tanti ammirano il coraggio e appoggiano le nostre ragioni, altri apprezzano la qualità del lavoro ma non lo condividono. Fin ora nessuna condanna o bocciatura quindi, ma ci aspettiamo anche quella prima o poi… E in fin dei conti, se dovesse arrivare, sarebbe sicuramente spunto di riflessione ma non di ripensamento, abbiamo le idee abbastanza chiare sulla questione.
(Forestieri)

 

E se un charango (tanto per dirne uno) ha una sua storia ben dentro le pieghe della sua costituzione fisica oltre che nel suo suono… e se dunque utilizzarlo non è solo questione estetica ma anche un ben preciso contesto storico e culturale, con l’elettronica come vi siete comportati? Avete fatto scelte analoghe (con le dovute differenze)?
Io considero l’elettronica solo uno strumento, al pari del charango (che amo molto tral’altro). Ci ha guidato l’istinto…perché l’approccio è davvero “dancing” per me, ci sono momenti downtempo, dub e oserei dire drum n’bass. Sicuramente in un momento in cui il Pop mainstream strizza l’occhio al sound elettronico ’80 noi ci siamo rivolti a alla scena alternativa e avangarde, che è sicuramente più nelle nostre corde.
(Li Bassi)

Parliamo di liriche… come avete rintracciato e scelto i brani da “riscrivere” in questo disco? E quali sono rimasti fuori?
Diciamo che la scelta è avvenuta in modo non troppo cervellotico ma nemmeno troppo casuale. Ognuno di noi ha portato qualcosa dal suo bagaglio, quello a cui era più affezionato, e che pensava si sarebbe prestato alla lavorazione. Diciamo che un po’ come gli scultori, ognuno di noi ha scelto un marmo su cui lavorare, e siccome si doveva lavorare insieme ad altri, ognuno ha scelto la pietra che riteneva più adatta agli scalpelli dei compagni. Quello che è uscito fuori è Polaris e la sua forma l’avete oggi sotto i vostri occhi. Ovviamente, per finire, sono rimasti fuori tanti brani, ma questa è una partenza e non un arrivo, ci saranno novità.
(Forestieri)

Molti progetti che alla musica popolare devono molta della loro ispirazione, spesso hanno riutilizzato i canti veri dei pastori, dei contadini etc… magari le registrazioni dell’epoca di Diego Carpitella e altri come lui. Ci avete mai pensato?
Certamente, e ogni tanto montiamo qualcosa (presa in prestito dai vari archivi…) sul live se vogliamo creare una particolare suggestione. Ma non la utilizziamo come modalità di lavoro, è stato già fatto in passato e in fin dei conti sarebbe un remix, ci interessa poco, siamo musicisti e ci interessa suonare, le usiamo al massimo come citazioni o piccoli cameo.
(Forestieri)

Tornare indietro nel tempo o traghettare nel futuro il passato… alla fin della fiera, che cosa vi ha regalato a voi come artisti? E cosa regalerà alla vostra consapevolezza musicale?
Piuttosto che “tornare indietro nel tempo o traghettare nel futuro il passato” direi: affrontare il presente consci del passato.
“…Essere stati è una condizione necessaria per essere…” (F. Braudel – Il Mediterraneo). Questa citazione che amo molto riassume appieno il pensiero dietro questo lavoro discografico. Quindi in parte è già la risposta alla seconda parte della domanda, almeno per quanto mi riguarda, ma penso di poter parlare a nome di tutti se dico che: alla fine della fiera questa esperienza ci ha regalato la consapevolezza che “per essere bisogna essere stati” .
Abbiamo tutti sulle spalle un po’ di anni di mestiere e sempre consapevoli che saremo sempre inconsapevoli di qualcosa, continuiamo a studiare, ad imparare, a stupirci ogni giorno; una vita non basta.
(Forestieri)

Biografia di Redazione Bravo!

Bravonline nasce tra il 2003 e il 2004 frutto della collaborazione tra vari appassionati ed esperti di musica che hanno investito la loro conoscenza e il loro prezioso tempo al fine di far crescere questo magazine dedicato in particolar modo alla Canzone d’Autore italiana e alla buona musica in generale.

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