Decisamente figlio del suono live e di scritture collettive Piero Pizzo che oggi scende in campo con un progetto solista dal titolo “Riconoscersi” che battezza Limarra. La Sicilia si sente ma si sente anche Berlino in un certo modo. Si sente la parola pesata sull’esistenza misurata nel quotidiano… ma si sente anche quel suono digitale che troppo gratuitamente restituisce soluzioni. Limarra è quel che vien fuori dopo aver scalato il vizio del conformismo ed esser venuto fuori come uomo, come individuo… come chiunque di noi abbia avuto la fortuna di riconoscersi. Non è facile esistere se nessuno davvero ti riconosce. La parola torna viva, il suono è corredo…
Dopo tanta terra calpestata con i suoni della tua tradizione e non solo… arrivi a dar suono alla tua singola voce. Una sorte di emancipazione o che altro?
Dopo 16 anni di tour e canzoni con la mia band (i BaciamoLeMani), ho sentito l’esigenza di sperimentare me stesso, provare a proporre un’altra versione di me. Credo che la musica accompagni le fasi della vita di ognuno di noi e la scelta di cosa ascoltare (e, nel mio caso, cosa scrivere) è dettata dal momento che attraversiamo. Ho scelto di approdare sulle sponde di nuovi generi musicali che un tempo sentivo lontani e, a dirla tutta, mi sono pure divertito. Se in un prima fase non avevo ancora capito che pian pian stavo spogliandomi delle vesti che avevo portato per tanto tempo con me in tour, ho capito soltanto dopo che forse l’istinto mi stava portando a riempirmi di coraggio e affrontare una nuovo percorso.
La voce adesso corre più leggera ed è pronta ad accogliere qualsiasi (o quasi) forma di mutamento e innovazione.
Che poi l’individuo, l’uomo, l’ES come direbbe qualcuno, è il centro nevralgico del disco secondo me. Un manifesto politico, anzi sociale, sulla propria emancipazione?
L’intero lavoro si fonda non sulla centralità dell’individuo ma su quella dei sentimenti che riconosco essere a volte degli esseri pensanti ed indipendenti. Spesso a muovere ciò che ci circonda non è il nostro intelletto ma il nostro stato d’animo che caratterizza un determinato momento, un turbine di sensazioni che, a causa della loro impulsività e imprevedibilità, spesso ci fanno cadere senza sapere nemmeno il perché, ci fanno agire secondo regole che neanche conosciamo e chiudono inaspettatamente delle relazioni a cui teniamo più di ogni altra cosa. Come si dice dalle nostre parti “la mente è un fil di capello” e per questo è padrona della nostra quotidianità.
Ti cito: “Non ho il cuore avvelenato per cambiare ciò che sono”… dunque si può cambiare? Dunque si deve cambiare se è opportuno?
Il brano, per come l’ho pensato, fa luce sull’importanza del mantenimento del nostro status attuale. Se per ”cambiamento” s’intende stravolgere il nostro lato più profondo allora meglio essere fuori moda. Viviamo un tempo in cui tutto è veloce e niente più resta, l’atto di civiltà che ognuno di noi dovrebbe fare (in primis per sé stesso) è provare a resistere cercando di restare ancorati ad un’idea più romantica della vita. Il cambiamento, se necessario, deve avvenire esclusivamente per migliorarsi e mai per somigliare ad uno standard.
“Questa terra mia” penso sia un altro centro nevralgico di tutto: dai suoni sporchi di terra, alla forma cantilenante di litania, quasi ritualistica… l’egoismo dell’uomo di oggi sembra avere radici antiche nel tempo… sembra questo… cosa mi dici?
Da circa 3 anni mi occupo attivamente di ambientalismo, coinvolgendo, attraverso l’Associazione di volontariato di cui faccio parte, Scuole primarie e Istituti superiori in azioni di valorizzazione del territorio (dalla mera pulizia di un campo a operazioni più complesse come la riqualifica di aree verdi). Bene, sulla base di tutto questo ho scritto “Questa terra è mia”, un brano che, come ha fatto Appino (Zen Circus) nella sua “Canzone contro la Natura” che racconta una storia dal punto di vista dello “sporcaccione”, vuole essere altro che una semplice canzone, ma un monito, un suggerimento, una linea.
Sono stanco di vedere poco rispetto per tutto ciò che sta al di fuori dei nostri giardini, c’è bisogno di amore per il nostro Pianeta.
A tutto questo suono l’artista Mistinguett restituisce un disegno. In particolare mi colpisce come in copertina, il sogno o la leggerezza di un aspetto naturale e favolistico si scontra con il cemento di quello che sembra un cavalcavia… che significato porta?
Con Adelaide (aka Mistinguett) ci siamo trovati quasi per caso ed è stato amore a prima vista. Il suo stile “acquerello” in cui le linee e le forme restano comunque decise, è riuscito perfettamente a tradurre in immagini le mie sensazioni. Contrapporre uno stile morbido ad un’idea d’illustrazione cosi forte inizialmente mi ha spaventato ma col tempo ho imparato ad amare tutto ciò perché si è fatto specchio delle mie canzoni, a cavallo tra l’onirico e il tangibile.