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OTTODIX: immaginando a bordo di un’Arca

Si intitola “ARCA” il nuovo concept album di Ottodix. La provocazione su un backup umano

Anche solo leggendo le risposte capiamo quanto “sentire” c’è dietro la scultura sonora di un disco di Ottodix. “Arca” è il primo che l’artista visionario firma con la Vrec Music Label di David Bonato… la storia non cambia: quel gusto new wave digitale, futuristico ma assai classico nei richiami stilistici, colora e determina la parola di Alessandro Zannier, l’artista Ottodix sempre impegnato in disamine sociali con una parola dal peso specifico che non possiamo ignorare. Parliamo oggi di “Arca”, il suo ottavo disco in studio: e se l’umanità in alcuni suoi “esemplari” caratteristici lasciasse la terra ormai in totale declino e lo facesse a bordo di una vera “arca spaziale” dentro cui ritrovare tutti i pilastri primigeni capaci di ricostruire la vita come noi la conosciamo? E se tutto questo fosse suono, canzone e ricerca? Credo che non basterebbero cento di queste interviste. Il nuovo disco di Ottodix è un esperimento, un’esperienza, una visione del futuro (non troppo lontano)… puntuali, precisi, distopici i ricami di suono curati da Flavio Ferri

La canzone d’autore di Ottodix ha sempre un piglio sociale. Direi anche politico. “Arca” è una provocazione importante. In tutto questo tempo, si sta verificando qualcosa che avevi cantato nelle tue visioni futuristiche?
Chiaramente qui siamo di fronte a un’iperbole provocatoria. Costruire un’Arca spaziale generazionale (le astronavi ipotizzate in cui i coloni nascono, crescono e muoiono a bordo, nel viaggio) non è esattamente una soluzione dietro l’angolo, mentre un’apocalisse ambientale sembra di sì. Diciamo che in questi ultimi tre anni, pandemia compresa, il sentore che il “giocattolo” si sia rotto su scala globale ce l’abbiamo ormai tutti. Il clima, il sistema economico, gli equilibri sullo scacchiere mondiale, le atomiche rimesse in campo, la sovrappopolazione, la tecnologia e lo sfruttamento fuori controllo, le migrazioni inevitabili, l’ascesa degli estremismi. Nessun film distopico di fantapolitica aveva saputo fare di meglio. Forse solo “Melancholia”.

Un premonitore, un precursore… un semplice osservatore. Come ti definiresti?
Un osservatore di sicuro, che cerca di unire gli indizi di un’epoca,producendo una lettura del caos. È un insegnamento dell’arte contemporanea, la mia vera occupazione, per la quale ho anche studiato a scuola. Sono stato formato per lavorare così e cercare una visione inedita del contemporaneo provando a leggere zoomando da fuori e unire i punti singoli di un periodo in corso di svolgimento. La storia fatica da sempre a dare una lettura oggettiva del contemporaneo, perché troppo coinvolta emotivamente dal contesto del presente, per questo ci vogliono almeno 20 anni prima di poterne scrivere con lucidità. L’arte no, ha il potere di lanciare sassi, aprire brecce e squarci sulla cortina del presente per intuire dove si rischia di andare, pur senza la pretesa di dare una versione univoca dei fatti. Arca dipinge scenari etici magnifici e allo stesso tempo orripilanti. A voi decidere cosa sia giusto, ma il quadro lo faccio io.
Un artista dovrebbe sempre porsi questa missione, a mio giudizio, soprattutto in un’epoca drammatica e quindi stimolante come questa. Altro che canzoni d’amore.

Il tuo suono, nonostante alcuni innesti ricavati dal DNA animale, è un ritorno alla forma new wave che ci riporta lontano di due decadi almeno. Forse più… posso chiederti perché in tanto futuro esiste una dimensione così “antica” del suono? Se sei d’accordo ovviamente…
Accidenti, non mi scrollerò mai di dosso questa cosa della new wave. Il bello è che al limite è il dark-pop electro dei Depeche Mode di quegli anni, il mio riferimento inconscio, ma ho anche assimilato tanta roba trip hop ’90, dub, Bjork (la prima), Goldfrapp, Air, Royksopp, tutta gente che a sua volta pescava da lì, ma la new wave, quella classica post punk con il basso effettato, chitarra-basso-batteria e cantato alla Bauhaus o Joy Division, mica me la sono filata poi tanto eh? E’ un’attitudine alle armonie in minore e al cantato più da crooner, unita all’elettronica, che forse richiama sempre quelle sonorità e quella stagione. Nell’album ci sono canzoni come Memorandom che sono reggae spaziali più figlie dei Massive Attack che della new wave o lavori di neoclassica col piano in “Gravità” e la coda di “Utopia”. Addirittura momenti di prog elettronico più vicini ai mondi di Bjork come Eco, in ogni caso canzoni molto lunghe. Comunque sì, diciamo che quella forma canzone ce l’ho nei cromosomi, inutile negarlo, e ripescarla qui forse aiuta a veicolare in forma scorrevole (ma oscura) i contenuti complessi di questa operazione. Gli interludi col sound ambient del DNA riportano volutamente sul contemporaneo il progetto, almeno me lo auguro. Non vorrei risolvermi unicamente nella new wave ’80, come alcuni miei colleghi che ne fanno ancora una religione.

E a proposito di new-wave: il divorzio con Discipline e la nuova pubblicazione con la Vrec. Ha una ragione tutto questo?
Nessuna ragione particolare, almeno non credo. Il mio rapporto con Discipline, che ringrazio comunque, negli ultimi 10 anni almeno è sempre stato unidirezionale con Luca Urbani, a cui voglio molto bene e che sento anche in privato per consigliarci rimedi contro le vertigini. Siamo due nonne ormai. Un giorno di due anni fa Luca mi ha scritto che Garbo e il suo “manager” volevano ridefinire la label come più incentrata su progetti dello stesso Garbo e han dato il benservito ai gruppi della scuderia, a prescindere dagli anni di militanza. Scelta aziendale alla quale non sono seguite telefonate o mail di delucidazioni se non da Luca stesso, che a sua volta se n’è uscito, quindi non avevo più nessun riferimento né interesse a rimanere. Inoltre il mio catalogo di edizioni (e quello di Discipline) sono stati acquisiti da VREC, che mi ha accolto sotto la sua ala, quindi è stato un passaggio naturale e una boccata di aria fresca. Alla mia età i cambiamenti fanno un gran bene. Poi è l’etichetta base del mio caro sodale Flavio Ferri con cui ho fatto i miei ultimi 3 album, autogestiti completamente nella promo e nel booking. Fare i manager di sé stessi è stressante, ma in questi casi ti da un’indipendenza assoluta e ti fa uscire leggero e col sorriso da qualunque cosa. VREC è un nome storico e nel ventennale di Ottodix (l’anno prossimo sto pensando a qualche forma di release riassuntiva) sapere di essere approdato qui fa bene all’autostima, siamo un po’ tutti in famiglia. Mi auguro che altri colleghi illustri ci seguano, ma credo proprio di sì.

Artista che al suono declini tanto anche una dimensione fisica in scena, nello spettacolo. Sarebbe bello costruirla questa ARCA e camminarci dentro ascoltando il suono di questo disco, ambiente dopo ambiente…
Lo spettacolo di Arca ha debuttato a Venezia il 27 maggio nel giardino della sede del CNR, per “Arca Venice”, un’operazione che la città di Venezia attraverso il DVRI (DistrettoVenezianoRicercaInnovazione) mi dedica come artista in residenza in enti, università, fondazioni e musei da qui a novembre. ospitando l’Ottodix Ensemble anche nella magnifica sala del Conservatorio di Venezia (12 luglio), dove assieme ad alcuni studenti della cattedra di elettronica lavoreremo sulle sonificazioni del DNA. Durante il concerto puoi effettivamente immergerti a livello esperienziale nei luoghi dell’Arca spaziale, canzone dopo canzone, con sviluppi ulteriori , letture di astrofisica, genetica, visioni future di colonizzazione spaziale, clonazione, de-estinzione di animali, piante, funghi e batteri, notizie sul rischio di estinzione di interi habitat (Venezia è la città per antonomasia a rischio diluvio) e progetti incredibili di backup del sapere umano. Tutto questo con l’ausilio di visuals su sfera e di animazioni live su lavagna luminosa. Band e quartetto d’archi accompagnano lo spettatore in questo film distopico che fa riflettere al risveglio sul rischio ambientale enorme a cui stiamo andando incontro.

E a proposito di ambienti: hai ricostruito il bisogno primigenio dell’umanità. Col senno di poi pensi di aver tralasciato qualcosa?
Arca è stato meditato a lungo, ho suddiviso le categorie dei bisogni primari dell’uomo per la sua esistenza e sopravvivenza in cattività e ho assegnato a ciascuna area una canzone-riflessione. Di sicuro hai bisogno di nascere e curarti in luoghi adatti in cui la scienza medica sia all’avanguardia (Gemini), poi devi crescere in un habitat naturale, passare un’adolescenza in mezzo alla natura, ai campi coltivati, ai pascoli,, ai mari, se pur artificiali, perché il corpo è fatto per formarsi con quell’esperienza biologica naturale (Eco), devi avere scuole, studiare la storia per tramandarla e non ripetere gli stessi errori (Memorandom), devi tramandare il sapere scientifico che tiene in piedi l’Arca spaziale. dominare la tecnologia che ti tiene in vita e rispettare la competenza scientifica (Techne), devi anche coltivare la tua dimensione spirituale, filosofica e artistica, il bisogno di astrazione (Musa) e infine devi dedicarti alla ricerca, a cercare nuove soluzioni, ad essere resiliente e adattivo, condizione che in cattività e in fuga è indispensabile e che ha salvato l’umanità in extremis da morte certa nella storia (Utopia). Ho pensato anche alle problematiche del vivere in mondi simulati in habitat creati da intelligenze artificiali, anche se non serve un’astronave per immaginarlo, già lo facciamo ogni giorno! (Simulatore). Ho pensato anche alla “città utopistica”, la città sferica di Arca che dà il titolo all’opera, dove potremmo convivere tutti in un esperimento globale di convivenza. La città-sfera è una forma “politica” allegorica molto efficace. Ogni punto di una sfera offre la stessa porzione di sguardo sul tutto il contesto, se pur diverso. Ognuno ha un pari punto di vista.
Ho tralasciato soltanto la questione etica, morale di giocare con la tecnologia, l’A.I., la genetica, la clonazione, di far arrivare il pianeta all’estinzione di massa, di far crescere figli in una nave senza ritorno verso il nulla per non essere stati in gradi di salvare la casa d’origine. Questo giudizio lo lascio in sospeso per lo spettatore. Ma alla fine l’intero disco è un mea culpa gigantesco dedicato alle generazioni che verranno e che ci stanno già odiando.

Biografia di Redazione Bravo!

Bravonline nasce tra il 2003 e il 2004 frutto della collaborazione tra vari appassionati ed esperti di musica che hanno investito la loro conoscenza e il loro prezioso tempo al fine di far crescere questo magazine dedicato in particolar modo alla Canzone d’Autore italiana e alla buona musica in generale.

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