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Massimo Lajolo: bassa fedeltà in queste nuove normalità

“Bassa fedeltà” è il nuovissimo disco di Massimo Lajolo. Critica sociale e verità

Le parole hanno un valore importante per moltissimi di noi. Sono i tracciati dentro cui accogliere l’espressione e anche le nostre naturali contraddizioni. Ma sempre portano con sé il dono della responsabilità, scomodissimo ingrediente che facciam prima a scansare a suon di morali facili. Massimo Lajolo torna con un disco come “Bassa fedeltà” pubblicato dalla RadiciMusic Records che sin dal titolo promette di portare in scena un’allegoria di parole buone tutte dirette a fotografare e a mettere a nudo questa nuova normalità fatta appunto di cose assai poco qualitative. Il singolo “Il talento” è un siparietto ma neanche troppo lontano dal verbo attuale. Insomma il cantautore torna con un suono ricco di semplicità a parlare di vita quotidiana e a sensibilizzare anche… un dono anch’esso…

Al concetto di “bassa fedeltà” è vero, associamo cose di “scarto” ormai. Ma le parole? Anche le parole rischiano di macchiarsi di “bassa fedeltà” nel tempo digitale di oggi?
Non so se si può parlare di “scarto”. Anzi, io voglio rivalutare l’idea del low-fi, che tra l’altro è stato anche un genere caratterizzato da una produzione essenziale e da un suono non patinato. Mi piace l’idea dell’imperfezione e la necessità di accettarla come tratto distintivo dell’essere umano. Buona parte dell’album è stato realizzato in casa. Mi piace ricavare il massimo risultato possibile partendo da mezzi minimi. Una specie di ecologia sonora, tanto per intenderci. La domanda è interessante, grazie, non ci avevo pensato, ma certo, anche le parole usate a sproposito o comunque male rischiano di mostrare una bassa fedeltà rispetto al loro significato più profondo. Il titolo comunque fa riferimento anche alla fedeltà nei confronti di un partner (proprio nel brano che dà il titolo al lavoro) ma anche di un’idea, di un’amicizia. L’ho scelto proprio per questa ambivalenza e per questo capovolgimento del concetto di partenza. La bassa fedeltà a volte è anche quella verso se stessi, le proprie abitudini, gusti e relazioni, che può rivelarsi salutare.

E per Massimo Lajolo che ruolo e che peso hanno le parole?
Mi viene subito in mente Nanni Moretti in quel magnifico vecchio film che è “Palombella rossa”: «Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!». Le parole non sono mai neutre, con le parole puoi salvare o condannare, ferire o accarezzare, per questo bisogna saperle usare. Le canzoni pop sono sovraccariche di termini come anima, spirito, immenso, infinito e via discorrendo, che sembrano buttate lì, senza che si dia loro il giusto peso, a galleggiare su una superficie melmosa di luoghi comuni e lacrime facili. Nella nostra straordinaria storia della canzone d’autore ci sono stati alcuni nomi che hanno saputo essere facili, quasi disarmanti nella loro semplicità, e contemporaneamente profondi, vedi Tenco o Endrigo. D’altra parte, sono purtroppo anche convinto che alcuni testi di Battiato, De Gregori o De Andrè. oggi non sarebbero assolutamente compresi, proprio perché adoperano un linguaggio “alto” – e a volte ermetico. Il linguaggio si è impoverito, nelle strutture e nel lessico. Provate a fare ascoltare un capolavoro assoluto come Amico fragile a un quindicenne di oggi (o anche a certi trentenni…)

E parlando di suono? Questo disco si appropria di stilemi assai classici e moderni… quanto il suono diventa per te vettore narrativo? O resta pur sempre solo un corredo?
Per me dire che il suono nella forma canzone è un corredo è un’eresia. Io sono musicista e autore, due dimensioni per me indissolubili. Quando mi capita di suonare per altri oppure brani non miei, i miei strumenti sono sempre al servizio della canzone, quindi anche del testo. Come suona un pezzo e quali strumenti vengono adoperati, per me sono elementi fondamentali. E’ difficilissimo che mi piaccia un brano aldilà del suo sound, poi non mi importa che ci sia solo una chitarra o un’orchestra sinfonica. Il suono comunica e in te ascoltatore ri-suona ciò che ascolti. Certe sonorità mi fanno venire i brividi e questo è sempre un segnale che la musica parte e arriva, comunica, cioè “mette in comune” il musicista e l’ascoltatore. Il suono della chitarra di Neil Young o di Mark Knopfler mi parla esattamente come le loro voci o i loro testi, quindi anche il suono è narrazione. Nell’album ho fatto qualche esperimento, proprio in termini di sonorità, oltre che di struttura delle canzoni e arrangiamento: brani senza il classico ritornello, un minicoro rinascimentale a cappella che dialoga con la chitarra elettrica, il bouzouki che si accompagna a voci trattate…

E in copertina campeggia una radio antica… che di per se il concetto di radio è antico… che messaggio custodisce?
Intanto adoro l’estetica delle radio del Novecento, quei mobili in legno, quell’aspetto massiccio ed elegante al tempo stesso… Ho commissionato la copertina a una giovanissima e brava grafica, Greta Cavaliere, che ha saputo rendere molto bene l’idea di essenzialità che avevo in mente. Nella prima versione aveva addirittura utilizzato caratteri in stile Bauhaus, che purtroppo non si sono rivelati funzionali. Poi, la radio intesa come mezzo di comunicazione di massa lo trovo potenzialmente formidabile, e in passato effettivamente lo è stato, soprattutto con il fenomeno delle radio libere “E se una radio è libera/ ma libera veramente/ mi piace anche di più/ perché libera la mente” cantava Finardi molti anni fa. Ascolto la radio in macchina, soprattutto RAI3, sia per i programmi culturali sia per le proposte musicali spesso davvero interessanti che passano, in particolare la notte. Invece, detesto ed evito accuratamente i programmi in cui due o tre dj contemporaneamente fanno a gara ad essere simpatici per forza e ad urlare, oltre che a trasmettere robaccia. Non devo assolutamente ascoltare musica per forza, anzi. Preferisco il silenzio. Come sempre, è l’uomo a rendere utile, interessante o nocivo lo strumento. Nel video de Il talento l’oggetto-radio è presente e alla fine si capisce perché sia lì sul palco: il sogno di una musica che arriva alla gente, nonostante le giurie.

E parlando del singolo “Il talento”… i format televisivi, i talent… ormai anche questa è bassa fedeltà?
Penso si intuisca che non amo molto i talent, anzi, per la verità non ne ho mai guardato nemmeno uno dal principio alla fine. Non mi piace l’idea della competizione esasperata e soprattutto mi dà enormemente fastidio l’idea di vincere o perdere con la propria musica e, ancora di più, di essere giudicati da personaggi in certi casi veramente imbarazzanti, dal punto di vista umano e artistico. Cioè, se in giuria ci fossero Nicola Piovani, Bruce Springsteen e Ivano Fossati sarebbe un altro discorso e forse potrei ravvedermi… Inoltre, l’idea di esibirmi in un contesto del genere non mi mette a mio agio. Non è la stessa cosa, ma mi è capitato di esibirmi con Shell Shapiro seduto davanti a me a un metro e mezzo di distanza e, sai com’è, un po’ di ansia la situazione me la metteva…

Biografia di Redazione Bravo!

Bravonline nasce tra il 2003 e il 2004 frutto della collaborazione tra vari appassionati ed esperti di musica che hanno investito la loro conoscenza e il loro prezioso tempo al fine di far crescere questo magazine dedicato in particolar modo alla Canzone d’Autore italiana e alla buona musica in generale.

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